•Capitolo II

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La carta su cui sto scrivendo mi appare liscia al tatto, sottile come mai prima d'ora. Appoggio la penna sul banco e osservo con soddisfazione il mio primo foglio di appunti. La lezione ha trattato delle forme di vita su questo pianeta; è stata una manna dal cielo, considerando il fatto che fino ad ora pensavo che la Terra fosse abitata da soli umani. È incredibile quanto le lezioni di mio padre tocchino solo la superficie delle dinamiche della dimensione umana.

Circa due settimane prima che partissi, infatti, mio padre ha avuto la geniale idea di istruirmi riguardo la Terra, così, dopo aver preso ventitré volumi dalla biblioteca reale, li ha sbattuti sulla mia scrivania e ha iniziato a darmi lezioni private nove ore al giorno. La divisa inoltre mi pizzica. La commessa che ingurgitava un panino quando ce le ha sbattute in faccia mi è parsa parecchio infastidita dalle mie lamentele. — Il tessuto fa schifo — ho provato a ribattere. — E poi mi va decisamente stretta.

— Era l'ultima, carina — ha farfugliato, attingendo una sorsata di un liquido marroncino. Ho storto il naso e me ne sono andata senza più dire parola.

Le due ragazze di fronte a me si voltano una volta che uno strano trillo pervade l'aria. — Wow, che capelli! Ma sono tuoi oppure extensions?

— Che? — sbotto. Scuoto la testa, un po' disorientata; non ho idea di quello che abbia appena detto. — Sono... insomma, sono miei — Come farebbero a non essere miei?

— Ah... ok — Il loro interesse si spegne di colpo e il loro sguardo cala sul mio compagno di banco.

È da quando mi ha rivolto quella frecciatina che non ha più aperto bocca, e non so se sia necessariamente un buon segno. Inizio a sentirmi veramente intimorita da questo fastidioso umano. Fastidioso... in realtà non mi ha fatto niente. Più che fastidio è vergogna. Il ragazzo, che prima teneva il viso chino, intento a trascrivere qualche appunto, alza lo sguardo verso le due ragazze e dedica loro un sorrisetto confuso, quel tanto che basta per farle ridacchiare come due ragazzine. — Ora ti metti anche a guardare... non si fa, Abigail — commenta, ritornando a scrivere.

— Non abusare del mio nome — bisbiglio, assottigliando lo sguardo.

— Ma come? Non vedevi l'ora di dirmelo quando ci siamo incontrati — mi punzecchia.

— Io posso dirlo quante volte mi pare, è il mio nome!

— Quindi vi eravate già incontrati? — domandano le due di fronte a noi.

— Oh, sì... stava annegando in un lago alle tre di notte.

— Avevo tutto sotto controllo — ribatto con le braccia incrociate al petto.

Il ragazzo si lascia sfuggire un leggero sorriso e un professore entra in classe, anche se questa volta si tratta di una donna, un po' paffuta e con degli strani capelli argento. Impugno con decisione la penna, intenta a prendere degli appunti altrettanto ordinati, ma quando inizia a spiegare la sua materia un senso di sonnolenza si impadronisce di me, così appoggio la testa sul banco, accorgendomi che sono davvero molto stanca.

Posso aprire gli occhi quando voglio... anche se la campanella di fatto è l'unica che riesce a svegliarmi. Mi risveglio di soprassalto e con i nervi a fior di pelle. — Sono sveglia! — quasi grido, con ancora un pezzo di carta attaccato sulla guancia. In classe non c'è più nessuno tranne Alya, che mi fissa di sbieco.

— È l'intervallo — mi spiega. — Che ne dici? Potremmo uscire per cercare la ragazza — annuisco cercando di soffocare uno sbadiglio, che però fa capolino sul mio viso. Io e Alya ci dirigiamo nel corridoio che dà sulla nostra classe, dove la maggior parte di studenti si è riversata per sgranocchiare qualcosa o semplicemente per chiacchierare.

WitheredWhere stories live. Discover now