•Capitolo XXVIII

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Chiudo gli occhi. La luce che filtra dalla finestra poco più avanti di me, alla mia destra, mi trafigge le palpebre con ancora più insistenza rispetto a quando il mio sguardo era vigile, ma sono disposta ad accettare tale compromesso, purché tutto scompaia dalla mia vista.

- Abigail, che cos'hai? - mi domanda Derek, e quando spalanco gli occhi, mi trovo di fronte al suo bel viso, piegato in un'espressione dubbiosa. Ciò che prima mi appariva come l'opera più incantevole da osservare, adesso è una disgrazia. Sono così debole da non riuscire nemmeno a sostenere il suo sguardo. - È tutta la lezione che mi eviti - riprende.

- Non ho niente - bisbiglio. - Ti prego... non domandarmelo più.

Sospira, e per un momento mi rammarico che stia in pena per me, ma dura troppo poco perché ritrovi il coraggio di guardarlo in faccia. Non ci riesco.

Concluse le lezioni, io, Alya e Thomas percorriamo il viale principale che ci conduce ai cancelli d'entrata immersi nel silenzio. O meglio, forse sono io l'unica a non parlare.

Il mio sguardo è assente persino quando ricevo una spallata che destabilizza il mio corpo. - Sta' più attenta, perdente! - ringhia Giselle, per la prima volta da sola.

Sono veramente stufa marcia delle umiliazioni, delle angherie, delle offese. Derek non c'entra più niente, adesso è solo una questione personale. - Giselle, hai rotto veramente i coglioni - scatto.

Il suo volto seccato, al contrario di infastidirsi ulteriormente, si trasforma in una maschera soddisfatta. - Ma insomma, come siamo aggressivi! - squittisce. - Perché mi tratti così? C'è forse qualcosa che ti infastidisce?

Non mi scompongo e, al contrario, mi avvicino al suo orecchio. - Lui non ti ama.

Mi volto con la stessa pacatezza con cui ho pronunciato queste parole. Un rumore sordo colpisce il mio udito e quando mi giro verso di lei noto che il suo pugno è stretto a pochi centimetri dal mio viso.

- Piantala e vattene.

Giselle contrae il viso in una smorfia infastidita. - Che diavolo vuoi tu... - mormora, ma quando si volta la sua espressione cambia visibilmente: si piega in un sorriso smielato e riprende, con tono più acuto: - Scusami, non volevo essere scortese, sai... noi stavamo solo parlando come...

- Piantala e vattene - ripete Theodore con lo stesso atono e paralizzante tono di voce.

Giselle si volta verso di me con ancora più rabbia a deformarle i lineamenti. - Tu... ma guardati, sei così patetica! Nessuno ti vorrebbe, tanto meno lui! Non dirmi che ci speravi davvero!

- Scusate.

Iris sfila verso di noi con il suo classico portamento posato e aggraziato, mentre sorregge svogliatamente nella mano destra un'aranciata in lattina. I due fratelli sono uno accanto all'altro e i loro sguardi sono incastrati alla perfezione.

Le loro espressioni sono neutre finché Iris non si apre in un sorriso vittorioso.

- Che cazzo vuoi tu? - comincia Giselle, rivolta a Iris. Una valanga di insulti si sfracella su di lei che, nel frattempo, la ascolta interessata mentre continua a bere la sua aranciata; tende il palmo della mano rivolto verso la ragazza come a dirle di aspettare.

Dopo qualche secondo sputa la bibita dritta in faccia a Giselle e io sgrano gli occhi, sconvolta.

- Razza di demente! Tu non hai idea di quanto mi sia costata questa acconciatura! Più di tutto quello che possiedi! - sbraita passandosi le mani sul viso mentre la sua bocca è ancora spalancata.

WitheredWhere stories live. Discover now