•Capitolo XIX

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Cammino lungo il cortile della scuola con aria assorta. Sono due giorni in cui io e Derek non ci rivolgiamo la parola, entrambi ci ignoriamo nella maniera più assoluta. Non gli ho rivolto uno sguardo e nemmeno un pensiero. In fin dei conti credo sia meglio così: non siamo altro che entità destinate a odiarsi per l'eternità. Ammetto di nutrire emozioni controverse nei suoi confronti, fra cui disgusto, fastidio e una proporzionale voglia di riappacificarmi con lui; ne sono attratta come una calamita eppure mi irrita. Credo proprio dovrei mettere ordine nella mia testa, distinguere i sentimenti sinceri da quelli artefatti, ma ogni volta che tento nell'impresa, un mal di testa imminente me lo impedisce.

Mi accorgo di urtare qualcuno con la spalla soltanto quando sento un rantolio provenire da terra. Una ragazza è distesa per terra, i suoi riccioli castani sono riversi a terra e, quando mi abbasso per porgerle una mano, mi scontro con il suo viso: è la ragazza che adesso siede vicino a Derek. — Va tutto bene? Scusami — mormoro, e quando punta i suoi occhioni da cerbiatta su di me un senso improvviso di tristezza mi assale. La ragazza si apre in un sorriso luminoso e, ignorando il mio aiuto, si alza e corre alle mie spalle.

Non ho mai ottenuto un rifiuto in vita mia; di nessun tipo. Sono sempre stata abituata ad avere qualsiasi cosa volessi, perciò, quando mi volto e mi scontro con Derek e la ragazza avvinghiati, ne rimango distrutta. La ragazza mi punta il dito contro con fare accusatorio e io scoppio a ridere. Non avendo idea di come reagire, questa mi è parsa la meno dolorosa delle opzioni.

Raggiungo i miei due migliori amici e tutti e tre entriamo in classe, così mi siedo accanto a Thomas, posto diventato ormai fisso per me. — Va tutto bene?

— Certo — sospiro, e pur di cambiare argomento mi concentro sui suoi occhi: li ho sempre invidiati, perché solo di un blu intenso e brillante, quasi elettrico. Sono costellati di pagliuzze di una tonalità lievemente più scura, dando vita a una danza di sfumature notturne. — Hai degli occhi stupendi — sbuffo, quasi come se fosse un'accusa. Ho sempre voluto averli di un colore così peculiare.

— Oh grazie — gongola. — Comunque non ti dovresti lamentare. Hai gli occhi verdi — mormora con voce calda, — molti vorrebbero avere i tuoi occhi, tesoro.

— Eh? — sbotto.

— Se mi prometti di non girarti, ti rivelo una cosa — afferma, per poi avvicinarsi al mio orecchio. — Credo che il noxious ti stia fissando.

Un brivido freddo corre lungo la spina dorsale, e l'impulso di girarmi è forte, ma mi trattengo. Chiudo gli occhi mentre la voce della sua compagna di banco continua, come un ronzio di sottofondo. — Derek, mi stai ascoltando? — chiede lei. Lui non risponde e a questo punto la curiosità prende il sopravvento e mi costringe a voltarmi. Derek affonda il suo sguardo nei miei occhi, e per un istante mi sento spaesata: i suoi occhi inespressivi e distanti mi disorientano. La ragazza si volta e sembra mi voglia incenerire. Mi sputa addosso qualche insulto e si volta verso Derek, con sguardo supplicante. — Cosa c'è, Derek?

Lui si volta e si apre in un sorriso che la rincuora, lo vedo: il suo volto si distende, conscia di aver catturato la sua attenzione. — Niente, non ti preoccupare, Lacey.

— Bene.

Entrambi ricominciano a dialogare con tranquillità mentre io sprofondo nella mia solutine. — Ehi, Abby — mormora Thomas, posando una mano sulla mia spalla. — Sta' tranquilla, si risolverà.

Non ho idea del perché non mi stia condannando anche solo per stare male per un noxious, figuriamoci per provare dei vaghi e confusi sentimenti nei suoi confronti. Mi apro in un sorriso impacciato e mi chiedo che cosa non conosca del mio migliore amico. — Ti ringrazio — mormoro. — È che... sono stanca, Thomas.

WitheredWhere stories live. Discover now