Capitolo 10

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Oggi.

Veronica
Sono totalmente senza parole. Più guardo Jason e più mi accorgo di quanto sia identico ad Elia, sembra la sua versione adulta.
La chiamata di poco prima con Astrid mi ha lasciata completamente di stucco. E poi... che idiota che sono! Mi sono messa a blaterare su quanto fossero fighi i nuovi CEO e di quanto lo fosse anche Jason. Per fortuna, Astrid non se l'è presa quando l'ho definito: «Quel genere di uomo che ti fa alzare la temperatura corporea quando ti passa accanto». Anzi, ci siamo fatte una bella risata su quanto fosse «...meraviglioso ancora più di prima».

Invece adesso, mi tocca sorbirmi il nervosismo di Matt. So che non ce l'ha con me solo perché sono arrivata con quasi mezz'ora di ritardo, ma evidentemente per quello che è successo poco prima. Infatti, dopo un po' me lo conferma, andando dritto al punto. Non ho voglia di litigare col mio capo, anche perché potrebbe licenziarmi su due piedi e non voglio valicare quel confine che potrebbe portarci ad una rottura prematura, per cui mi giustifico in maniera poco chiara. Tanto, a chi voglio che importi?!

«Te lo chiedo di nuovo, perché sei scappata?».

A Matt evidentemente importa. Cavolo. Proprio a me devono capitare tutti i testoni?! Questo ragazzo sembra un tipo tenace e me ne accorgo dal modo in cui mi guarda. Per sottolineare il concetto si è arbitrariamente chinato sulla scrivania, imponendomi di guardarlo negli occhi e invadendo il mio spazio personale con il suo sguardo magnetico. Mi rendo conto che non riuscirò a sostenerlo ancora per molto, quindi gli dico la prima cosa che mi passa per la testa.

«Okay, non volevo dirtelo, ma se proprio insisti... Mi sono ricordata di aver lasciato il forno acceso e quindi sono dovuta correre a casa prima di far saltare in aria tutto il palazzo. Contento?».

Mi do mentalmente uno schiaffo perché, cavolo vero, si può essere più idioti di così?

«Sai» dice Matt, tirandosi su e facendo un sorriso del tipo "mi prendi per il culo?", «hai una bella faccia tosta».

«Anche tu» ribatto.

E me ne pento subito dopo, perché l'espressione di Matt è tutto un programma. All'inizio, il suo sguardo sembra gelido per la mia insubordinazione, ma un secondo dopo scoppia a ridere.

È bellissimo e il suo buonumore contagia anche me, quindi gli sorrido di rimando, grata del fatto che abbia alleggerito la tensione che si stava venendo a creare.

«Questo non dovrà più ripetersi, bocconcino».

«D'accordo, signor Jefferson».

«Mi chiamo Matt» ribatte. «Il signor Jefferson è mio padre».

Quando Matt ritorna nel suo ufficio, conosco anche Jason personalmente. Sono ancora sotto shock dopo quello che ho scoperto e il solo fatto di sapere come ha lasciato la mia amica, me lo rende antipatico senza nemmeno conoscerlo, per cui, cerco di far durare la conversazione con lui il meno possibile.

Mi immedesimo nel lavoro con tutta me stessa. I nuovi Amministratori sono sommersi di lavoro e, di conseguenza, anch'io. Non ho nessun momento libero per pensare, grazie a Dio, quindi faccio quello che di solito facevo quando c'era Lauren: prendo chiamate, sposto appuntamenti, ordino archivi e riordino la scrivania disordinata di Astrid. Ci tratteniamo in ufficio più del dovuto. Se fosse stato un altro giorno, non ci avrei fatto caso, ma questa sera ho una certa premura nel tornare a casa.

Karina non si faceva viva da un po', il che è strano, considerando che non si presenta mai in casa mia senza avvisare. Questa volta non l'ha fatto, quindi vuol dire che c'è qualcosa che non va e io devo scoprire subito di cosa si tratta.

Jason è uscito dall'ufficio pochi minuti fa, al contrario di Matt che sembra non volersene andare. In teoria, potrei pure andarmene perché – come da contratto – la mia giornata lavorativa termina alle otto. Ma qualcosa mi tiene inchiodata a questa sedia, per cui me ne sto seduta nell'attesa che anche Matt decida di andarsene. Compare solo dopo pochi minuti dal suo ufficio e sembra sorpreso di vedermi ancora seduta al mio posto.

«Non dirmi che sei una di quelle che vive per il suo lavoro» esclama, facendo uno di quei suoi sorrisi belli.

Più che per il mio lavoro, diciamo che vivo proprio per miracolo. Decido di tenere il pensiero per me e chiedo: «Cosa te lo fa credere?».

«Il fatto che a quest'ora sei ancora qui e questo mi porta a pensare che sia una routine per te».

«Be', ti sbagli» dico – beccata con le mani nel sacco – e inizio a raccogliere tutte le mie cose per andare via.

«Io non credo. È stato un caso, allora, trovarti qui quell'unica volta che sono venuto a trovare mia madre?» chiede.

Ricordo ancora il nostro primo incontro. E sì, quella sera mi ero trattenuta al lavoro più del dovuto.

«Non è importante. Comunque, ero in ufficio solo perché Lauren mi aveva avvertito che aspettava qualcuno e non volevo andarmene se prima anche lei non avesse finito tutto e lo stesso ho fatto questa sera con te».

«Mmmh, grazie. Sei pronta ad andare?» chiede, in attesa che mi sbrighi.

«Va' pure. Non sei obbligato ad aspettarmi» dico, facendo spallucce.

«Si dà il caso che io sia un gentiluomo e la mia natura mi suggerisce di aspettarti e non farti uscire da sola col buio».

Raccolgo tutto, indosso la mia giacca e insieme a Matt raggiungo l'ascensore. Da vero gentiluomo, mi fa entrare per prima e non appena raggiungiamo l'uscita mi tiene la porta aperta per farmi uscire, sempre per prima.

«Però!» esclamo, guardandolo divertita e sorpresa

«Te l'avevo detto, bocconcino».

Sorrido ancora di più quando mi chiama in quel modo. Bocconcino mi piace e per qualche strano motivo mi fa piacere che sia lui a chiamarmi così, inoltre mi ricorda qualcosa di dolce, come quando i bambini del St. John mi chiamano Sweety.

«Allora, dove hai la macchina?» chiede Matt.

«Non ho una macchina».

«Allora cos'hai?».

«Un biglietto per la metro» dico, tirando fuori il mio abbonamento settimanale e facendoglielo vedere, compiaciuta.

«Seguimi,bocconcino» dice, intrecciando le dita alle mie. «Ti do uno strappo a casa».

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𝗧𝘂 𝗻𝗼𝗻 𝗺𝗶 𝗽𝗼𝘀𝘀𝗶𝗲𝗱𝗶Where stories live. Discover now