Capitolo 35

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Sei anni prima.

Oksana
Quando scendo in strada, con il mio borsone da viaggio in spalla, mi accorgo troppo tardi di aver lasciato il cellulare in camera. Ma non metterò più piede in quell'appartamento. Dovrei riuscire a rintracciare Karina, ma non ho la più pallida idea di come fare. Di certo non tornerò al locale.

Solo adesso mi rendo conto del peso della solitudine che piomba su di me con la pesantezza di un macigno. Sono completamente da sola, per strada, alle due del mattino, a vagare senza una meta. Non conosco nessuno da cui poter andare e l'unica persona su cui credevo di poter contare è come se fosse sparita nel nulla senza lasciare traccia.
La mia mente, precedentemente compromessa, inizia a prendere nuovamente lucidità. L'effetto delle pasticche sta per scemare, ma io sono più sveglia che mai. Devo trovare un posto in cui passare la notte. Ripenso mentalmente a quanti spiccioli ho da parte e realizzo che sono a mala pena sufficienti per tirare avanti una settimana scarsa. Non mi basterebbero nemmeno per il più economico dei motel.
Ecco cosa succede quando sei da sola nel mondo. Sola. Non avere una famiglia è forse la cosa più brutta che possa capitare a un essere umano. E non me n'ero accorta fino a questo momento. Sì, ho Karina, ma anche lei è nella mia stessa condizione. Con la differenza che lei cerca di dipendere meno possibile dalle persone. È così forte che persino la invidio. Vorrei poter essere forte come lei. Così forte da non lasciarmi scalfire da nessuna cosa. Ma la realtà è ben diversa. La realtà è che non sono pronta a badare a me stessa, non sono un'adulta, sono sola e smarrita come una bambina. Forse è per questo che mi sono legata in maniera quasi immediata a Dmitriy, perché era l'unica persona che, per la prima volta, ha dimostrato di provare interesse nei miei confronti. Forse per le altre persone può sembrare normale, ma per me tutto ciò ha un significato ben diverso. Passare dal non avere nulla ad avere un pezzettino di qualcosa, ti fa sentire importante. Ti fa sentire amata e Dmitriy mi fa quest'effetto.

Continuo a camminare senza sapere dove andare. Le lacrime iniziano ad offuscarmi la vista e, senza rendermene conto, piombo a casa sua.
Asciugo le lacrime dal viso con il dorso della mano e tiro su col naso. Mi prendo qualche secondo, osservando l'imponente villa prima di decidere cosa fare. Fuori è tutto buio e neanche da dentro provengono bagliori che facciano capire se Dmitriy sia in casa. Quindi, prima di pensare, agisco e apro il cancello che - contro ogni mia aspettativa - non è chiuso a chiave. Entro dentro, chiudendomi quell'opera d'arte alle spalle e inizio a percorrere il vialetto buio finché non raggiungo la porta. Faccio per aprirla, sperando di avere la stessa fortuna di poco prima, ma è chiusa a chiave. Ovvio che non posso sempre avere il fato dalla mia parte. Decido così di aspettare seduta qui fuori che Dmitriy torni presto. Mi sistemo la testa sul borsone e piango fino ad addormentarmi.

***

Odo parole sconnesse, ma poi mi accorgo che quelle parole provengono dalla mia bocca. I miei mugugni assomigliano più o meno a versi lamentosi e frasi senza senso. L'unica cosa di cui sono certa è che mi sembra di essere in Alaska. Il freddo sembra essermi entrato nelle ossa, impedendomi di muovermi. Finché non mi sento sospesa in aria da qualcosa di forte e caldo e una voce si intromette nel mio monologo. Non vorrei sbagliarmi, ma sembrano delle braccia, accompagnata da un profumo paradisiaco.
Starò sicuramente sognando o... Non saprei. Forse sono talmente stordita da non riuscire a distinguere la realtà dalla finzione.

«Seent-to ffredd-do» dico a fatica con i denti che battono.

«Ti credo, stai congelando. Oksana. Ma cosa ti salta in mente?».

Adesso che sento forte e chiara la voce di Dmitriy, apro gli occhi e lì, ad aspettarmi trovo il suo caldo petto a scaldarmi una guancia. Mi stringe a sé, portandomi dentro casa, dove la temperatura sembra scongelarmi da questo stato di quasi ipotermia. Mi aggrappo a lui più forte che posso, grata del fatto che sia tornato e le lacrime iniziando a bagnarmi nuovamente le guance.

«Scusa» balletto.

«Perché ti stai scusando?» chiede lui, poggiandomi su una superficie più morbida, adagiandosi al mio fianco.

«Perché sei costretto a prenderti cura di me. Potevi anche lasciarmi fuori. Nessuno ti obbliga a farlo».

«Mi hai fatto prendere uno spavento, Oksana. Ho trovato le tue chiamate e quando sono tornato al locale a cercarti tu non c'eri. Inoltre, ho provato a chiamarti al cellulare. Perché non hai risposto?».

«È rimasto a casa mia». Nel pronunciare l'ultima parola, il mio corpo viene scosso dai brividi. E poi aggiungo: «Casa mia fino ad un momento fa».

«Che stai dicendo?» chiede Dmitriy, raddrizzandosi e tirandomi su con lui. Quando lo guardo negli occhi vedo preoccupazione. Un'emozione che raramente ho visto dipinta sul suo volto, spesso impassibile.

Non so da dove iniziare, perché la situazione sembra talmente surreale da risultare persino inventata. «Sono senza casa perché... Dmitriy io non posso più vivere lì. Igor ha messo una telecamera in camera mia. Mi ha spiato per tutto questo tempo» dico, ancora incredula.

«Bastardo» impreca a denti stretti. «Ma... sei sicura di quello che hai visto? Queste sono accuse pesanti».

Colta alla sprovvista, sentendo quelle parole, mi ritraggo da lui, sconcertata dalla sua esitazione. Perché dovrei mentire su una cosa così grave?

«Certo! È un tuo amico quindi va difeso a prescindere. È così che funziona, no?» esclamo alterata.

«Non va difeso se ha fatto questo. Sto solo dicendo...».

«No! Tu non mi credi!» urlo, alzandomi per andarmene anche da quel posto che ritenevo sicuro.

«Tu non vai da nessuna parte!» esclama Dmitriy, afferrandomi per un braccio, costringendomi a girarmi per guardarlo in faccia. «Non sto dubitando delle tue parole, Oksana. Sto solo pensando a quanto tutto ciò suoni strano alle mie orecchie. Conosco Igor da anni e so che non farebbe mai una cosa del genere. Ma adesso voglio che ti rilassi, ti siedi e mi racconti tutto con calma, senza farti prendere dal panico».

Annuisco e faccio ciò che mi dice. Gli racconto di quando sono arrivata a casa e ho trovato l'amara sorpresa, saltando però la parte dove cercavo le pasticche. Gli racconto di aver mandato in frantumi la videocamera ed essere scappata, dopo aver preso quelle poche cose che posseggo ed essermi "ritrovata" a casa sua senza rendermene conto.

«Parlerò con Igor. Sistemerò la faccenda. Intanto, puoi sistemarti qui».

Annuisco e lo guardo grata. Lo ammiro per ciò che sta facendo per me. Perché in fondo, siamo sconosciuti. In mezzo una strada mi ha trovata e in mezzo ad una strada poteva lasciarmi e invece non lo ha fatto.

«Come hai fatto ad arrivare fino alla porta?» chiede, poi

«Il cancello era aperto. Ma tu... dove sei stato tutto questo tempo?».

«Ho dovuto rispondere ad una chiamata di lavoro e poi ho incontrato Irina e sono andato a casa sua».

«Ti ho chiamato» affermo.

«Lo so. Non ho sentito il cellulare».

«Stavi discutendo con Lyudmila» affermo di nuovo, ma questa volta con un tono di accusa.

«Be', succede quando le ex sono così appiccicose e invadenti».

Guardo Dmitriy esitante, senza sapere se credergli o meno. Non dico nulla, finché lui non sente l'esigenza di parlare. Rassicurandomi, mi prende il viso tra le mani e mi guarda gentile. «Sana, lo sai che non hai nulla di cui preoccuparti» conclude, baciandomi sulle labbra. «Ci sei solo tu».

Annuiscoappoggiando la fronte alla sua, perdendomi nel suo abbraccio rassicurante.Questo è quello che ho sempre desiderato. È tutto ciò che ho sempre visto comeuna meta irraggiungibile. Qualcosa che sembrava impossibile, un'utopiairraggiungibile che adesso sto toccando con mano. Ed è reale.
Dmitriy è reale.

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𝗧𝘂 𝗻𝗼𝗻 𝗺𝗶 𝗽𝗼𝘀𝘀𝗶𝗲𝗱𝗶Where stories live. Discover now