Capitolo 39

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Sei anni prima,
due mesi dopo.

Oksana
Prendo freneticamente appunti da mezz'ora senza sosta. Quando ho preso la decisione di iscrivermi all'università, l'ho fatto con talmente tanto entusiasmo che non mi sono nemmeno resa conto che le lezioni fossero iniziate da oltre un mese. Quando ho iniziato a frequentare le lezioni, ho perso qualche settimana per recuperare le ore perdute e cercare di andare al passo con quelle attuali, sperando di riuscire a seguire tutti i corsi e di non sprecare altro tempo prezioso. Avrei potuto attendere un altro anno, ma grazie a Dmitriy - che conosce il rettore dell'università - mi è stato possibile frequentare l'anno già in corso. So che posso sembrare una privilegiata - anzi, lo sono - ma diciamo che mi è stata data "una mano" per accedere all'università. Il resto del lavoro spetta a me e mi sono già rimboccata le maniche. Voglio impegnarmi e dedicare alla letteratura inglese tutto il mio tempo. Dopotutto, è sempre stato ciò che voglio studiare da sempre e adesso lo sto facendo.

Al termine della lezione, mentre ripongo i miei libri in borsa, il trillo del mio cellulare nuovo di zecca mi avvisa dell'arrivo di un sms. Quando lo apro, sorrido alla vista della foto che Dmitriy mi ha inviato. Sono lui e Dobby, il cucciolo di gatto che abbiamo adottato qualche settimana fa, quando ho dichiarato di annoiarmi. Il messaggio recita: IO E DOBBY ASPETTIAMO LE TUE COCCOLE.

Sorrido ancora e mi incammino verso l'altra lezione, mentre digito una risposta veloce. Penso seriamente di tornare a casa prima del previsto, ma poi capisco che è una pessima idea. Sono qui per studiare, quindi è meglio che adempia ai miei "doveri" di studentessa. Sto per mettere via il cellulare, quando vado a finire a addosso a qualcuno.

«Scusami. Non ti avevo visto» mi scuso, chinandomi per recuperare il cellulare da terra.

Quando mi alzo in piedi, mi ritrovo faccia a faccia con un ragazzo mozzafiato. So che probabilmente non dovrei neanche pensarle queste cose, ma quando la cosa è così palese, anche la più pura delle menti penserebbe ciò che ho appena pensato, soprattutto quando ti ritrovi a fissare due splendidi occhi blu oltremare, contornati da una pelle color caramello e una bocca carnosa. «Scusa» balbetto di nuovo.

Il ragazzo alto mi sorride, mostrandomi la sua perfetta dentatura bianca. «Non è successo niente, corazon».

«Sei spagnolo?» chiedo d'impulso.

«Argentino» precisa. «Di origini africane. Si vede?».

«Be', in uno stato dove la maggior parte della gente è bianca come la carta, sì, è più che evidente».

«Questo è un commento razzista» afferma lui, senza emozione nell'espressione.

«Cosa? No, no, no, no» mi affretto a dire. «Non intendevo offenderti e il mio non era affatto un commento razzista. Intendevo dire che sei un po' più scuro rispetto... oddio! Che dico?!».

Sono in panico totale. Tutto avrei pensato e non di essere così poco delicata e così tanto maleducata. Non intendevo dire quello. Non mi sarei mai permessa, soprattutto perché siamo tutti uguali su questa terra, indipendentemente dal colore della pelle. Sono stata la prima ad essere discriminata ed essere etichettata come una mela marcia solo perché non avevo una famiglia e l'ultima cosa che farei adesso è far sentire diverso qualcun altro.

Il ragazzo scoppia a ridere e mi rassicura. «Stavo scherzando, Oksana».

Resto un attimo perplessa e dimentico la mia confusione quando sento pronunciare il mio nome. Inarco un sopracciglio e chiedo: «Come fai a sapere il mio nome?».

«Frequentiamo le stesse lezioni e secondo me te ne saresti accorta se non stessi tutto il tempo a scrivere incessantemente».

«Sono qui per studiare. È il minimo che possa fare...» dico, ovvia.

«E quando non scrivi appunti, scrivi al cellulare».

«E tu invece di stare attento alla lezione, badi a ciò che fanno i tuoi colleghi, giusto?» chiedo irritata, mettendomi le braccia conserte.

«Non esattamente, beleza. Ti ho notata perché sei arrivata a lezione con quattro settimane di ritardo. E poi, frequentiamo quasi tutte le lezioni insieme e cercavo un modo per attaccare bottone. Solo che sei in continua fuga, ma oggi è stato il mio giorno fortunato perché mi sei letteralmente piombata addosso».

«Guarda, oggi è il tuo giorno fortunato anche perché sono in vena di dare spiegazioni. Sono fidanzata con tanto di anello» dico, sventolandogli sotto il naso la mia mano sinistra. «Quindi non credo che dopo oggi ti verrà di nuovo voglia di "attaccare bottone"».

«Wow!» esclama, afferrandomi la mano e portandosela davanti agli occhi. «Questo si che è un catenaccio».

«Cosa vorresti dire?» chiedo, sottraendomi dalla sua presa.

«Voglio dire che mi ferisce davvero il fatto di non poter avere nessuna speranza con te» dice, con fare teatrale. «Il tuo futuro marito invece, è un tipo molto fortunato. E anche ricco».

«Non è come pensi tu».

«Figurati, non è importante ciò che penso io. Puoi fare ciò che vuoi, Oksana» conclude, facendomi l'occhiolino. «Allora, posso accompagnarti alla lezione successiva?».

«No» ribatto secca e mi incammino verso l'aula, dandogli le spalle.

«Be', mi sa che verrò lo stesso con te» si affretta a dire il ragazzo, venendomi dietro. «Tanto stiamo andando nella stessa direzione».

«Cosa sei, il mio persecutore personale?» chiedo infastidita.

«No, la tua spalla su cui piangere personale».

Rido alla sua affermazione bizzarra e mi fermo a guardarlo. «Sei sempre così invadente?».

«Nah! Solo quando ne vale la pena. Credo che tra di noi ci sia una sorta di... legame speciale. Diventeremo migliori amici» sentenzia sicuro di sé.

«Per quanto possa essere vera l'amicizia» sussurro pensando a come è andata a finire tra me e Karina.
Non la vedo da quel famoso giorno e credo che non lavori più nemmeno al Red, sembra solo che non viva più a Mosca. Lo spero per lei, perché per quanto possa avercela con lei a causa della sua mancanza di fiducia nei miei confronti, le vorrò sempre bene e le augurerò sempre il meglio.

«Qualcuno qui è pessimista» nota il mio "amico".

Lo ignoro volutamente e cambio discorso. «Quali altre lezioni frequentiamo insieme?».

«Tutte».

«Allora, visto che conosco già il mio nome, il minimo che tu possa fare è dirmi il tuo».

«Michiamo Thiago».

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𝗧𝘂 𝗻𝗼𝗻 𝗺𝗶 𝗽𝗼𝘀𝘀𝗶𝗲𝗱𝗶Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora