Capitolo 57

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Cinque anni prima.

Oksana
Una settimana fa non avrei mai immaginato di trovarmi allo stesso tavolo a mangiare, bere, parlare e ridere insieme a Dmitriy e Thiago. Da come era andata l'ultima volta, avrei giurato che non l'avrei più rivisto, ma Dmitriy si è davvero pentito di come ha reagito quel giorno. Diciamo che ha voluto dargli un'altra possibilità. Si fida di me e gli ho assicurato che poteva fidarsi anche di Thiago.

Le cose invece sono andate un po' diversamente con Irina. Quando l'ho chiamata mi è sembrata irritata. Non abbiamo quel tipo di rapporto tra cognate. Il fatto che lei abiti in un altro continente non ha aiutato il nostro rapporto a crescere. Forse ha influito anche il fatto che la prima volta che ci siamo conosciute siamo partite proprio con il piede sbagliato. Comunque, la conversazione non è andata esattamente come me l'aspettavo. Non ho perso tempo e sono andata subito al sodo, chiedendole cosa fosse successo a suo fratello, ma non ho ottenuto nessuna risposta chiara. Sta di fatto che il suo comportamento è cambiato in seguito ad una relazione andata male. L'unica cosa che Irina mi ha detto esplicitamente è stata: «Dmitriy non è l'uomo adatto a te». La sua dichiarazione mi ha lasciata perplessa per due motivi; non ho capito se non le piaccio come donna per suo fratello, o se fosse un chiaro avvertimento. Non sono andata a fondo della questione ma ho capito che non voleva aiutarmi. Quindi, ho lasciato cadere l'argomento e ho fatto tutto da sola. Ho iniziato a cercare per la casa qualsiasi cosa nella speranza di trovare un indizio che mi facesse capire il suo comportamento, con scarsi risultati. Non ho trovato nulla, ma rimane un grande enigma che è l'ufficio - chiuso perennemente - di Dmitriy. Ma una cosa è certa: devo riuscire ad aprire quella porta.

«Di cosa ti occupi con precisione?» chiede Dmitriy a Thiago, poggiandomi una mano sul ginocchio, facendomi riscuotere dai miei pensieri.

«In realtà, oltre a studiare, non mi occupo di niente. Be', a parte mia zia».

«Come hai detto che si chiama?» chiede ancora Dmitriy.

«Non credo che tu la conosca».

«Vivo qui da quando sono nato. Praticamente conosco tutti».

«Impossibile. Mia zia abita qui da pochi anni, probabilmente non ne hai mai sentito parlare. Comunque, si chiama Herrera, come me. E come mio padre. È sua sorella» conclude in un sussurro.

L'espressione di Thiago sembra afflitta, come se parlare di suo padre gli facesse male. Lo capisco, ma dovrebbe mantenere vivo il ricordo, non incupirsi.

«Cos'è successo ai tuoi genitori?» insiste Dmitriy.

Senza riflettere, do una gomitata nel fianco a Dmitriy per quella domanda inopportuna. Gli ho già raccontato per sommi capi cosa è successo e non mi sembra giusto rigirare il dito nella piaga. Thiago non sembra disturbato della domanda e inizia a raccontare.

«Avevo quindici anni quando sono morti. Ricordo che quella sera ero alla festa di compleanno di un mio amico. Ero più piccolo e frequentavo persone più grandi. I miei non volevano che andassi, ma sono scappato di casa e sono andato a quella maledetta festa. Ho ricordi confusi di quella sera, perché mi sono ubriacato per la prima volta. Sono stato drogato e ricordo di essermi sentito male. Ho chiesto aiuto al mio amico, ma se n'è infischiato, così come il resto dei miei "amici"» mima con le dita. «Quindi ho chiamato a casa. Mia madre era preoccupatissima, ma nonostante il mio comportamento mi ha rassicurato, dicendomi che sarebbe arrivata in pochi minuti. Lei e mio padre mi hanno tenuto compagnia al telefono per tutto il tragitto, finché non ho sentito un forte boato ed è caduta la linea. Li ho ammazzati io» confessa.

«Non sei stato tu, Thiago» lo rassicuro.

«Invece, sì» ribatte. «È stata colpa mia. Se non avessi disubbidito, sarebbero ancora vivi. Sono morti perché io quella sera ho insistito affinché si sbrigassero. Mio padre ha saltato un semaforo e la macchina si è trovata nella traiettoria di quel maledetto camion».

Non sentire emozioni nella sua voce, è forse la cosa più spaventosa. Thiago si colpevolizza per la morte dei suoi genitori ancora dopo cinque anni.

«Eri solo un ragazzino. Non è stata colpa tua».

«Ero un ragazzino egoista a tal punto da non riflettere sulle conseguenze delle mie azioni».

Non sapendo cos'altro dire, me ne sto zitta. E lo stesso fa Dmitriy che si limita a guardare Thiago dritto in faccia. So che qualcosa non lo convince, lo noto dalla sua espressione dubitante.

Più tardi, dopo aver finito di cenare e aver accompagnato Thiago alla porta, mi siedo sul divano, accoccolandomi tra le braccia di Dmitriy.

«Povero Thiago» sospiro.

«Certo che a volte sei proprio ingenua, Oksana».

«Mmmh?» mugugno. Mi alzo dal suo petto e lo guardo accigliata. Perché dice così? «Cosa vorresti dire?».

«Semplicemente che Thiago non è chi dice di essere. Non credo alla storia strappalacrime che ci ha raccontato».

«E per quale assurdo motivo?».

«Ha raccontato tutto come se avesse appena studiato il suo copione. Il fatto che si sia trasferito dall'Argentina è alquanto strano e discutibile».

«Era un ragazzino solo quando i suoi genitori sono morti! E sua zia, l'unica parente rimasta in vita, abitava qui!» affermo. «Cosa c'è di così strano?».

«E non ti suona strano il fatto che proprio la sorella di suo padre, anche lei argentina, abiti in Russia?».

Be', in effetti è alquanto strano, ma non significa nulla. Sono certa che ci siano delle ragioni. «Sai? Non tutti hanno avuto la tua stessa fortuna. C'è chi è nato senza famiglia e chi l'ha persa, come Thiago. Cosa vorresti insinuare?» ribatto infastidita.

Le affermazioni di Dmitriy mi fanno indisporre parecchio. Come può sputare sentenze così dal nulla, se non conosce le storie altrui? Perché non dovrebbe credergli anche se Thiago ci ha raccontato i dettagli della sua storia? Non lo so, ma mi sento tirata in causa. Anche io sono stata una "sfortunata". Cos'è, non crede neanche alla mia "storia strappalacrime"?

«Non sto insinuando proprio un bel niente. Sono certo di ciò che dico e Thiago non è chi dice di essere» afferma.

«Sei patetico» sbotto irritata, alzandomi dal divano, intenta a starmene per conto mio. Ma Dmitriy me lo impedisce e, afferrandomi per un braccio, mi obbliga a sedermi nuovamente.

«Patetico? Ti dimostrerò che ho ragione e fino a quel momento voglio che tu stia lontana da lui».

𝗧𝘂 𝗻𝗼𝗻 𝗺𝗶 𝗽𝗼𝘀𝘀𝗶𝗲𝗱𝗶Where stories live. Discover now