0.6 • innoqua

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Ho contato centosessanta sette passi, da quando, con estrema rapidità, le guardie mi hanno cinto il viso con una fascia scura, bloccandomi la vista e afferrato una mano, conducendomi con apprensione fuori dalla mia cella, dall'unico posto che io a...

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Ho contato centosessanta sette passi, da quando, con estrema rapidità, le guardie mi hanno cinto il viso con una fascia scura, bloccandomi la vista e afferrato una mano, conducendomi con apprensione fuori dalla mia cella, dall'unico posto che io abbia mai conosciuto.

Io non mi sono ribellata, o, almeno, non ne ho avuto il tempo: quando mi sono accorta di cosa stava succedendo, ormai ero già uscita, e i miei piedi toccavano un pavimento che non conoscevo.

Mi sembrava che la mia mente non riuscisse a seguire il tempo del mondo, ma che andasse troppo lentamente: mentre ancora pensavo a Christopher, alla sua rivelazione, loro mi avevo già portavato via, sfruttando questa mia debolezza per farmi fare ciò che più preferivano.

Mi riscossi solo quando la stretta sul mio polso si fece più forte, e i passi della guardia al mio fianco si fermarono, bloccando anche me.

Eravamo fermi davanti a qualcosa, ad esattamente centosessanta sette passi dalla mia casa: ai miei occhi, avevo appena fatto un viaggio fuori dal mondo e non avevo idea di come sarei dovuta sentirmi.

Dovevo essere felice? Triste? O potevo semplicemente lasciarmi andare alla confusione? In quel momento, appena riuscivo a ricordare il mio nome.

"Lasciatela, ora ci penso io." Era la sua voce, quella di Christopher, e, quando una nuova mano sfiorò la mia, riconobbi subito il calore della sua pelle.

Forse era strano, il pensare che io riuscissi a riconoscerlo soltanto per il modo in cui le sue dita si incastravano con le mie, o la morbidezza dei suoi palmi.

A quel tempo, ancora non riuscivo a capire la differenza fra la mia normalità e quella del mondo.

"Signore." Le guardie lo salutarono all'unisono, e poi sentii i loro passi ticchettare sul pavimento mentre si allontanavano da noi.

"Sento il tuo ego gioire," commentai, atona, e, per quanto mi aspettassi un suo sorriso, non mi sorpresi del non sentirsi pronunciare affatto.

"Ora dovremo entrare nel mio ufficio: cerca di non dare di matto, è solo una stanza."

Sentii una porta scricchiolare, e poi Christopher mi aiutò fare qualche passo, facendomi entrare nel suo fantomatico ufficio: solo allora mi tolse la benda.

Sbattei più volte le palpebre, guardandomi intorno ad occhi aperti, incapace di concepire la notevole quantità di libri, tutti perfettamente ordinati sui loro scaffali in legno ricoprendo tutte e quattro le pareti, ad eccezione di un piccolo spazio lasciato per la finestra.

Al centro, una scrivania, sempre in legno, con alcuni fogli posti in un plico ordinato e un piccolo mappamondo come fermacarte.

Il pavimento era ricoperto da una soffice moquette rossa, in cui i miei piedi nudi affondavano con vivacità, solleticandomi le dita.

Angeli e DemoniWhere stories live. Discover now