15 • ultimo atto

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La guerra era calata come una tempesta a ciel sereno.

C'era silenzio, troppo silenzio, e questo faceva quasi più paura: si preannunciava il caos.

Eravamo tornati al castello degli angeli, così da riunire i due eserciti in uno spazio più grande, e, nonostante gli sguardi furtivi fra angeli e esseri umani, la coscienza di avere un nemico comune sembrò oscurare l'esigenza di spiegazioni.

Questo la diceva lunga.

"Stai bene?"

Non avevo mai visto Ethos in armatura, né Isaie, ma, vestiti con la loro uniforme bianca sgargiante, sembravano dei veri soldati pronti a morire.

Il problema, restavano i motivi di questa guerra.

"E tu?"

Ivar rispose con gentilezza, sistemandosi per l'ennesima volta la collana di corde che Lily gli aveva regalato come porta fortuna. Lui aveva indossato la divisa nera del Popolo, non quella rossa dei demoni: ma, comunque, era certo che non avrebbe visto gran ché, dato che era stato adibito a mia personale balia, e quindi spedito a farmi compagnia nelle retrovie.

In pratica, mi trovavo nell'atrio d'entrata del castello, bel lontana dall'occhio del ciclone, e pronta a correre al riparo nel caso fosse andata male. Davanti a me, centinaia e centinaia di soldati mi dividevano da Ethos, Isaie ed Adam, in prima fila come guide.

Ed Aima era già lì, dall'altra parte della pianura, con al seguito tutti i suoi soldati in rosso, ricoperti di armi sino ai denti. Anche senza vederlo, ero certa della sua rabbia.

"Questa guerra è uno sbaglio," risposi, sinceramente. "Non dovrebbe accadere."

"Ma accadrà, e noi dobbiamo vincere."

Mi inumidii le labbra, cercando di calmarmi: come si poteva parlare di vincitori? In ogni caso, avremo perso tutti.

Non parlai, non ebbi le forze di farlo, e lo scandire dei miei battiti, accompagnò i primi secondi della guerra: iniziò dal niente, all'improvviso, con un urlo incalzante da entrambe le parti. Un attimo dopo, il sangue già scorreva a fiotti.

"Marine, dobbiamo rientrare," cercò di dire Ivar, notando che lo scontro si stava muovendo con troppa velocità.

Io, però, non lo ascoltavo, troppo occupata a spiare i loro passi lontani: Ethos aveva appena spinto a terra un demone, Adam invece ne aveva accoltellato un altro.

Avevo già perso il numero delle uccisioni di Aima, una vera e propria furia.

"Marine!"

Una forte spinta mi costrinse a terra e, immediatamente, uno frusciò di aria mi lasciò senza fiato: un coltello era intrappolato in una parete poco lontano, ma ero certa fosse diretto alla mia testa.

"Adesso dobbiamo proprio andarcene," incalzò Ivar, sconvolto, mentre mi aiutava a rimettermi in piedi.

"Non posso permettere che si ammazzino a vicenda," ribattei, senza fiato.

La mia mente vorticava così velocemente che quasi mi sembrava di non averne più una, ma ero certa che la soluzione fosse lì, a portata di mano.

Il problema ero sempre io.

"Oddio," sussurrai, sconvolta, portandomi una mano al volto. "Non è possibile."

"Non è possibile? Cosa non è possibile, Marine?" Ivar mi si avvicinò, ma io subito mi scostai.

"Sono io, Ivar, capisci? Sono io il problema," dissi, ed era davvero così chiaro. "Devo andare."

"Marine!"

Angeli e DemoniWhere stories live. Discover now