11 • amici

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Fui la prima a svegliarmi, la mattina dopo, e ci misi qualche istante a capire il perché mi fossi addormentata fra le braccia di Aima

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Fui la prima a svegliarmi, la mattina dopo, e ci misi qualche istante a capire il perché mi fossi addormentata fra le braccia di Aima.

Nel medesimo momento, il disgusto di ciò che sarebbe potuto succedere la sera prima mi bloccò la gola, obbligandomi a deglutire un conato di vomito.

Quindi, in sostanza, anche in quella occasione mi ero dimostrata totalmente fuori posto: così come ero sembrata una specie di piccola ribelle al ballo degli angeli, ero risultata una riservata pudica al compleanno di Serena.

Ed ero di nuovo a letto con Aima: se la mia vita non poteva considerarsi un totale disastro allora non avevo idea di come poterla chiamare.

Strinsi le labbra, cercando di trattenere un sospiro mentre alzavo lo sguardo sul bel demone addormentato: non era la prima volta che lo vedevo così, perso in un sogno, ma era la prima in cui avessimo letteralmente dormito insieme - non come due estranei costretti a condividere un letto.

Lui non mi aveva mai lasciato, e ancora sentivo le sue falangi stringere il tessuto del mio vestito, quasi a proteggermi - o a intrappolarmi - mentre io, nel mio sonno, ero finita per incastrarmi perfettamente nelle curve del suo corpo, usando il suo petto come cuscino.

Ethos non mi aveva tenuta stretta a sé.

Fu questo il mio primo pensiero: la notte in cui io ed Ethos avevamo condiviso il piccolo letto dopo che lui aveva, per la prima volta, deciso di aprirsi con me.

Lui non mi aveva tenuta stretta a sé e, al mio risveglio, se n'era già andato.

Lui se ne andava sempre, ogni giorno più lontano da me.

Distolsi lo sguardo, e lo spettro del dolore era proprio davanti ai miei occhi, pronto a colpirmi dritta al cuore.

Lo scacciai, tentai, e alla fine mi arresi: sgusciai fuori dalla presa di Aima e mi sedetti sul letto a gambe incrociate, iniziando a grattarmi le caviglie nude con nervosismo.

Non lo avevo mai ammesso a me stessa, perché sapevo quanto avrebbe fatto male, ma, ormai, la tetra certezza della verità mi stava incatenando la mente, costringendomi all'ovvio: la fazione demoniaca non era casa mia, ma non lo era nemmeno quella angelica.

In una ero troppo, nell'altra troppo poco: comunque, sempre sbagliata, ed era tremendo, stancante, continuare a sentirmi quella sbagliata, nonostante tutti i miei tentativi.

Mi ero adeguata alle regole degli angeli, anche se per diciassette anni mi avevano tenuta prigioniera in una cella, ed ero stata paziente con tutti loro, solo per ottenere sguardi disgustati e un tentativo di avvelenamento.

E poi mi ero accomodata con i demoni, fingendo di dimenticare che fossi solo una prigioniera e che, in realtà, molto tramava alle mie spalle in quel posto, ma, anche quella volta, le cose stavano andando male.

Angeli e DemoniWhere stories live. Discover now