Chapter XXXII

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Camminó tranquillo lungo i corridoi del villaggio dei leoni, portando su un vassoio in equilibrio del cibo. Nell'altra mano, tenuta ben salda, la sua fedele arma. Diretto verso una delle stanze del villaggio, qualche minuto prima non aveva non potuto notare il movimento attorno agli alloggi dei dottori. Con sua amara sorpresa, aveva scoperto che la compagna del Grifoniere, Zaya, era gravemente ferita. Scosse la testa, forse parzialmente già rassegnato. Per loro leoni le cose erano veramente più facili che per i Grifonieri . Al confronto, la loro vita era una passeggiata. I leoni erano animali forti, dei guerrieri nati. Tutto in loro gridava forza e coraggio, dal fisico possente, allo sguardo. Non erano obbligati a trovarsi una compagna, come in natura potevano averne molte. E se decidevano di averne una, non erano obbligati da nessun legame. Era un po' una cosa.... Da umani. Un rapporto che nasceva per amore e che andava coltivato. Niente magia a legare due esseri, niente destino. Solo la loro volontà. Raramente comunque i leoni si trovavano solo una compagna, vuoi forse per il fatto che a quel modo non vi erano impegni seri verso una persona, vuoi forse per la mancanza di tempo. L'amore andava coltivato, curato, a lui si doveva dedicare molte attenzioni... Ma i leoni passavano il tempo a combattere. Quella era la loro vita. E se non c'erano guerre in vista, si allenavano e miglioravano nell'unica cosa che sapevano fare meglio: uccidere.
Nemmeno le femmine del branco se ne lamentavano, e, se nascevano cuccioli, ognuno se ne occupava.
Erano tutti una famiglia.
Aveva visto Ren, distrutto, sulla soglia mentre portavano via Zaya; non credeva che sarebbe riuscito a sopportare una cosa del genere se si fosse legato a qualcuno.
Con lui erano rimasti l'amica della ragazza, Althea e la sorella, accompagnata da un kitsune.
Volpi... Il tanfo si poteva sentire a distanza di miglia. Amavano marcare ogni singolo parte del territorio che gli apparteneva, le persone non erano un' eccezione. Fei odorava di volpe lontano tre miglia.
Si chiese se la ragazza sapeva che l'ayakashi l'aveva marcata col proprio odore oppure no, ma decise con un cambio repentino di umore che non era affar suo.
Sperava con tutto il cuore che Zaya ce la facesse... Ma le probabilità erano talmente basse che solo la speranza poteva frenare tutti dal dare libero sfogo alla loro disperazione.
In quanto Generale dei leoni, sarebbe spettato a lui dare ai compagni di guerra la notizia dell'esito finale delle operazioni alle quali stavano sottoponendo la ragazza.... E temeva con tutto sé stesso l'avvicinarsi di quel momento.
Sperava davvero in un miracolo.
Girò a destra, ancora sovrappensiero, quando notó la porta della stanza in cui doveva entrare leggermente scostata. Ricordava con certezza assoluta di averla chiusa prima di andarsene a cercare del cibo... A chiave. Posò il vassoio a terra lì vicino e, tenendo stretta la lancia, si avvicinò cautamente alla porta. Sbirciando al suo interno però non vide nulla. Il letto era sfatto e nessuna traccia del suo ospite.

Maledizione

Sandara se ne era andata. Guardò la serratura della porta: nessun segno di forzatura. Era sicuro però che nessuno avesse disubbidito al suo ordine e che le avesse aperto, perciò in qualche modo doveva esser riuscita a scappare. Quella ragazza era da poco che era sveglia, ma già riusciva a combinare guai. Tra lei e Zaya, non sapeva chi fosse la più complicata, e, considerato che conosceva entrambe da poco tempo, questo fatto non lasciava di certo una buona prima impressione.
Si mise a cercarla, con i nervi a fior di pelle. Sandara a giro con Zaya nello stesso paese aveva appreso a tempo debito che non era una saggia idea.

Scese al piano di sotto, evitando accuratamente la zona dei dottori. Non avrebbe avuto il coraggio di guardare gli altri negli occhi. Cosa avrebbe dovuto dire? Parole di incoraggiamento? E se poi fosse andata a finire male? Non voleva dare false speranze a chi sperava in un miracolo. Avrebbe parlato solo con i fatti in mano.
Da lontano, vide venire nella sua direzione Khal.

Si salutarono silenziosamente con un cenno della testa. Il licantropo gli posó una mano sulla spalla, indicando con un cenno  che doveva seguirlo.
Non chiese nulla; se non aveva parlato era stato per non farsi sentire dagli altri, segno che avevano da discutere cose importanti.
Camminarono fino ai sotterranei del villaggio. Non erano sotterranei moderni come quelli che si potevano trovare in altri territori o nei palazzi e castelli dei licantropi e dei dragoni; i loro erano molto rustici, casalinghi se si voleva esprimere l'atmosfera che emanavano. Ma andava bene così, l'importante era che servissero allo scopo : dovevano essere strategici.
Entrati li, Khal lo portò in una stanza dove trovò il suo secondo in comando, Ares. Quando c'era di mezzo anche lui non era mai un buon segno.
Non si fece scrupoli nel chiedere spiegazioni.
-"cosa succede? A cosa devo l'onore" - disse, stringendo la mano ad Ares.
-"sono qui per informare su alcuni sviluppi"
Kan guardò i due licantropi davanti a lui con un sopracciglio alzato, non nascondendo la sorpresa. Ma li lasciò parlare.
-"parti pure Ares" - lo incitó Khal.
E si mise a sedere, accavallando le gambe; sul volto, una maschera. Se era preoccupato per qualcosa o per quello che stava succedendo al suo migliore amico, non lo dava a vedere in quel momento.

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