Parenti

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-A volte, vivere nelle
bugie, fa meno
male della verità-

Quella sera, a cena, il ragazzo non si fece vedere.
Io e zia Beryl sedavamo in silenzio nell'elegante tavolo di legno, troppo grande per sole due persone.

"Ti ringrazio per aver comprato i libri, davvero." le dissi quando fu servito il primo.

"Oh, per quello! Non è stato affatto un problema. Piuttosto mi spiace che tu non abbia potuto conoscere Tristan. Aveva un forte mal di capo, e non è potuto scendere a cena.
Sempre sui libri, quel ragazzo. Non è un segreto che a volte vorrei li lasciasse un po' da parte. In fondo, sono loro che gli causano i dolori alla testa."

Poi si fece pensierosa.

"Ora che ci penso, dovrebbe avere qualche anno meno di te... Ah sì! Sedici! Non sembra eh? Quel ragazzo ancora un po' e sbatte sul soffitto... Eh? Ma che dico! Tu non l'hai mai conosciuto! Penso che andrete d'accordo, è un tipo tanto silenzioso, ma è molto intelligente..."

Quindi il ragazzo si chiamava Tristan.

Tristan Brightwood...

Di sicuro un parente di mia zia, e di conseguenza anche mio.

A quella conclusione, il mio cuore mancò un battito.

"A proposito d'altezze! Anche tu, ragazza mia, non scherzi! Non sarà facile trovarti un marito con la tua stazza!"

Sbiancai di colpo. Marito?

"Tutto bene, mia cara? Sembri pallida. Tieni, versati un po' di vino rosso"

Declinai gentilmente e poi balbettai:

"Scusi, ha detto... marito?"

Lei mi guardò stranita.

"Ah! Non dirmi che tua madre non te ne ha parlato! A giudicare dalla tua faccia, probabilmente no... Mi ha chiesto di portarti a qualche evento, in modo che tu possa trovarti un ragazzo di città."

Poi si sporse verso di me e si guardó in torno.

"Detto tra noi, cara, quel posto da dove vieni è parecchio sfortunato in materia. Sai, sono stata lì in visita ai tuoi genitori prima che nascessi, e sono rimasta scioccata! Ma tranquilla, qui a Birmingham non mancano di certo gli uomini."

Probabilmente ero rossa dall'imbarazzo.
Prima che potessi ribattere qualsiasi cosa, la zia alzò gli occhi e gli si illuminarono.

"Oh! Sei sceso, quindi!"

Seguii il suo sguardo e lo trovai puntato su un ragazzo appoggiato sulla porta.

Mi sentii mancare.

Lui annuì alla zia e rispose che si stava riprendendo.
Poi, senza degnarmi si uno sguardo,  si sedette proprio davanti a me.
La zia, che era a capotavola, cominciò a dire entusiasta:

"Tristan! Lei è Eileen, rimarrà con noi fino alla primavera prossima. Come ti ho già accennato, frequenterà la Hale e la ospiteremo noi.
Eileen, Tristan va alla Jones, un istituto maschile proprio di fianco alla Hale. Se avrai problemi, potrai chiedere a lui."

L'occhiata che lui lanciò alla zia, mi fece capire che avrei fatto meglio ad arrangiarmi da sola.
I suoi occhi non si erano mai poggiati su di me, e mi sentii a disagio per questo.

"Ah ragazzi! Domani sera verranno a cena alcune rappresentanti della società delle donne in carriera. Vi chiedo, quindi, di comportarvi adeguatamente e di essere più educati possibile."

Poi si alzò e guardò verso la porta.

"Ora, ragazzi miei, vado a letto. Buonanotte."

Tristan cercò di aiutare la zia, la lei rifiutò, ribadendo che non era così vecchia da non riuscire ad alzarsi.

Sparì dietro la porta, e guardai di sottecchi il ragazzo vicino a me.
Aveva lo sguardo chino, le braccia lungo i fianchi e la mano leggermente contratta in un pugno.
Sotto i capelli neri, non scorgevo gli occhi.
Solo le labbra rosse un po' arricciate.

All'improvviso si girò su di me.
I suoi occhi chiarissi si mischiarono si miei ed ebbi paura che le gambe mi cedettero.
Alzò un sopracciglio e mi guardò malamente.

"Hai cominciato a leggere il libro che hai preso prima?"

Non aveva parlato lui.
Cazzo, ero stata io.
Chi me lo aveva fatto dire, non lo sapevo neanche.

Sentii le guance andarmi a fuoco quando capii la stupidaggine che avevo fatto.

Lui non rispose.
Né con le parole, né con lo sguardo.

Invece venne verso di me e si fermò ad un palmo dal mio corpo. Sussultai.
Piano piano si chinò e avvicinò la bocca al mio orecchio.

"Non andartene troppo in giro, Eileen" sussurrò suadente.

Il mio nome mi risuonava nella testa e detto da lui, mi sembrò creato apposta per farlo pronunciare alle sue labbra.
Si staccò di colpo e in un attimo fu fuori dalla stanza.

Sentii il suo profumo volare nell'aria e portarsi via le parole che aveva appena mormorato.

Non sentii il rumore dei suoi passi salire per le scale, né lo scricchiolio dell'ultimo gradino.

Non sentii la porta della sua stanza chiudersi, ma la chiave che girava nella toppa della serratura rimbombò in tutta la casa.

Siamo Sotto la Stessa PioggiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora