Salvami

113 8 2
                                    

-Le parole vincono
sempre, ma io so
di aver perso-

Eileen Harrison's POV

Il cielo piangeva forte, bagnando tutto di lacrime attorno a sé.
Sembrava quasi che avesse raccolto la tristezza delle persone e avesse dato vita alle loro emozioni.
L'acqua era ovunque, anche dentro di noi.

La pioggia scendeva incessante da tutta la notte, e ogni traccia della candida neve caduta nei giorni precedenti, se n'era andata.

Tutto sembrava più scuro, quella mattina.
Tutto si chiudeva in se stesso, colorando di nero e appiattendo le differenze.
Tutto era immobile ma cambiava di continuo.

La mia camera era avvolta da uno strato di nebbia talmente poco visibile da risultare impossibile da ignorare.

Lo specchio sopra la cassettiera rifletteva tutto quasi fosse coperto di polvere, tanto che pensai di andare a cercare di pulirlo.

Non servì a nulla, perché era tutto vero.
Quello strato appannato era vero.

La luce fredda emanata dalla finestra ricopriva ogni cosa senza illuminarlo veramente.

Tutto sembrava tacere in modo surreale.

Persino io, guardando il mio riflesso sbiadito, mi trovai particolarmente fredda e grigia.

Volevo coprirmi di colori, ma non trovavo il pennello.
Volevo sporcare di giallo, ma il nero usciva dai bordi, inondando tutto.

Mi avviai alla finestra, assorta nei miei pensieri calmi.
Sembrava che il cielo ci volesse dire qualcosa, come se fosse un presagio.

Come un girasole che invece che dare il viso al sole, lo porge alla luna.

Sta appassendo, Eileen.
E potrebbe non ricrescere mai più.

Tristan Brightwood's POV

Afferrai quella seta e desiderai strapparla via con tutte le mie forze.

Strinsi tra le dita quei capelli che erano così dannatamente uguali ai suoi, e li tirai finché la testa non mi bruciò dal dolore.
Volevo toglierli. Dovevo.

Non oggi.
Non oggi, ti prego.

Batteva forte, troppo forte.
Doveva lasciarmi stare, doveva farlo.

Almeno oggi, ti prego.

Non capivo.
Non capivo più nulla.

Lo sentivo stridere dentro di me.
Mi saliva nel petto, si trascinava fino alla gola, bruciava ovunque e da nessuna parte.

Doveva andarsene.

Lo pregai in silenzio finché la voce non mi si ruppe in due dallo sforzo.

Ti prego, smettila, smettila.

Digrignai i denti finché non li sentii sgretolarsi.
Impiantai le unghie sulla pelle del mio torace e un bruciore primordiale mi si irradiò in quel punto.

Non faceva così male allora.

Non ha mai fatto così male.

Nenche quando mancava poco.

No, neanche lì.

Mai.

Singhiozzi vuoti riempirono la stanza.
Non una lacrima.
Io non avrei pianto, non lo avevo mai fatto.
Lui mi aveva detto di non piangere.

Neanche quando mancava poco.
No, nenche lì.

E io non lo avevo fatto.

"Chiudi le tende"

Non volevo vedere quel mondo che mi aveva fatto così male da far sì che mancasse poco.

"N... Non vuoi vedere l'alba?"

Avevo sbuffato e sorriso in modo sarcastico per la sua innocenza.

Non c'era l'alba per me.
Non c'era mai stata.

Mi avrebbe risparmiato tutto quello che era successo, se quella dannata alba fosse sorta.
Ma non lo aveva fatto.

Neache quando mancava poco.

Mia madre c'era, ma era lontana.
Mi teneva la mano, ma ero io a riscaldare la sua, che avevo il corpo ghiacciato e senza calore.
Senza vita.

"Non possiamo portarti con noi, Tristan. Sei debole"

Mi avevano lasciato lì, ad osservare un sole che non brillava per me, e delle stelle cadenti che non ascoltavano i miei desideri.

Non mi ascoltavano mai.

Neanche quando mancava poco.

Faceva male, cazzo se faceva male.
Un taglio, poi un altro, poi dieci ancora.

Quando sarebbe finita?
L'aveva fatta finire, lei.

E allora corsi mentre mille crepe mi rompevano a pezzi.
Lame affilate e coltelli insanguinati mi trafiggevano il braccio che apriva la porta.
Altre centinaia mi corrodevano il petto, ormai in fiamme.

La maniglia scattò e la porta piano piano lasciò intravedere il corridoio.

Era buio.
Tutto maledettamente, dannatamente buio.

Non bussai e il legno che sfregava sul pavimento non fece il minimo rumore.
Entrai nella stanza.

Eccola lì. La mia salvezza.

Era davanti allo specchio, immobile e bellissima.
Appena entrai girò la testa e il suo viso era sorridente.

Eccolo il calore che cercavo.

Ma quando mi vide tutto curvo e con la mano sul petto, la sua espressione mutò in un attimo.

Si fiondò su di me e mi strinse con le suo braccia esili, che in quel momento erano le uniche cose che avrei voluto su di me.

Il suo cuore luminoso batteva su quello rotto e nero che mi ritrovavo nel petto. Che sopportavo ogni giorno.

Mi prese la mano che avevo sul torace e la strinse forte, posando piccoli baci su tutto il dorso.

Mi prese la testa tra le mani e affondò il viso tra i miei capelli.

Quei maledetti capelli uguali ai suoi.

Mi baciò il collo e io mi avvinghiai a lei come se fosse l'unica cosa a rimanermi.

"Non importa se piangi, Tristan"
mormorò mentre la stringevo forte.

Avevo le guance bagnate e gli occhi mi bruciavano.

Stavo piangendo.
Non lo facevo da moltissimo tempo.

Neanche quando mancava poco.

Ma a lei non importava.
Lei era lì con me anche se stavo piangendo.

Lei mi stringeva anche se non aveva idea del perché avessi così bisogno dei suoi abbracci.
E poi realizzai che il petto non mi doleva più.
Nessun bruciore, nessuna macchia di rosso. Niente di niente.

Io non potevo guarire, e lei non lo aveva fatto.
Ero rotto, crepato, ma lei aveva stampato piccoli baci sulla cicatrice che ogni giorno minacciava di scucirsi.
Non mi aveva guarito.

Mi aveva salvato.

Siamo Sotto la Stessa PioggiaWhere stories live. Discover now