Rumore

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Eileen Harrison's POV

Ero ammalata da tre giorni.

Contro le aspettative di chiunque, l'unica a prendersi l'influenza tra me e Tristan, ero stata io.

Me ne stavo seduta sul letto, con la schiena appoggiata alla testiera del letto. In grembo, il libro di biologia.

Forse non mi sarei presa nulla se invece di uscire di casa dopo che mi avevano detto di riposare, me ne fossi rimasta buona.
Ma a volte la testardaggine non mi lasciava mai, quindi non avrei potuto fare altrimenti.

Ero stata ferma per un tempo che sembrava infinito a tenergli la mano e a stringerla con la speranza che si svegliasse e che mi vedesse lì.
Volevo che mi vedesse, che capisse che per lui io c'ero.
Gli ero stata vicina fino a quando una donna non mi aveva chiamato da dietro.

Con un po' di malavoglia, mi ero girata e mi ero subito sorpresa.

La madre di Tristan era una bellissima donna, con tratti delicati e forme generose.
Aveva gli occhi come i suoi, ma brillavano di una luce diversa, non so dire se più malinconica o vissuta.

Mi aveva salutata gentilmente e mi aveva consigliato di riposare.
Vedeva che ci tenevo, ma anche che ero stanca.
Mi disse che non mi dovevo preoccupare e che da lì in avanti ci avrebbe pensato lei.

Fino a quel momento non l'avevo mai vista in casa. Nemmeno suo padre, sia chiaro, ma almeno sapevo che lui era in casa.
Lei non pensavo nemmeno che ci fosse. Per quello mi sorpresi.

Una donna che non avevo mai visto, che non era mia parente, mi diceva di non pensare più a suo figlio e di riposare.

Avrei fatto meglio a seguire il suo consiglio.
Probabilmente allora non avrei il mal di testa e la febbre.

Ero scesa in giardino e uscita dal grande cancello di ferro.
Poi mi ero aggirata per le strade finché non era calato il buio e sono dovuta tornare a casa.

Non ricordo cosa accadde in quel lasso di tempo in cui vagai per le strade, ma so per certo che quando tornai avevo le mani gelate e il naso colante.

Non mi sorpresi di certo quando, quella stessa sera, Mariam mi informò che avevo la febbre.

Ma per il resto stavo bene.

Certo, il costante pensiero degli esami di metà anno mi tormentava, ma cercavo di studiare non appena avevo un'ora libera.

Non avevo mai affrontato un esame alla Hale.
Shannon mi aveva spaventata dicendomi che si sarebbe svolto in un'enorme stanza sotto l'occhio vigile dei professori.

Era tempo di esami anche alla Jones, e di solito gli studenti li tenevano insieme.
Maschi e femmine, dalla prima all'ultima classe, tutti insieme in un'aula alla Jones.

Tra i corridoi si respirava un'aria tesa e malsana, e cercavo di godermi più tempo possibile all'aria aperta.

Fuori da scuola, seduta su una panchina, la ragazza che avevo incontrato alla festa a casa di Shannon che voleva parlare di Tristan, stava studiando ansiosa.

Aveva le mani tra i capelli e li stringeva con forza maniacale, mormorando parole incomprensibili mentre la sua amica la rassicurava.

Trattenni una risata.

Shannon sdrammatizzava, scherzando sul fatto che il peggio che poteva succedere era di dover ripetere l'esame.

In fondo, trovai al quanto esagerato che persino i professori ci caricassero di materiale superfluo e inutile.

Da quando avevano trovato il buco nella rete che portava alla Jones, erano diventati più severi ed esigenti, e tenevano sempre d'occhio la mia amica.

Dal canto mio, cercavo in tutti i modi di tenerla fuori dai guai.

Con l'aiuto del comitato studentesco, Shannon riuscì ad organizzare una protesta al fine per unire i due istituti.

Inutile dire che fu presto messa a tacere dalle sgridate dei docenti, che mandarono a monte i piani della ragazza.

Nonostante tutto, però, mi trovavo bene lì, e non vedevo l'ora di guarire per tornare a scuola.
Per allontanarmi un po' da questa casa, che s volte risulta troppo silenziosa e seria per i miei gusti.

Certo non mancavano le cene della zia, dove decine di persone si infilavano in soggiorno e lei solo sapeva come facevano ad entrarci tutte.
Facevano molto rumore, e a volte mi davano fastidio le loro chiacchere.

Ma quando, nel bel mezzo della notte, la porta della camera da letto accanto alla mia sbatteva, desideravo ardentemente che qualcuno iniziasse a parlare, così da farmi dimenticare chi l'avesse sbattuta, quella porta.

Non ci avevo più parlato.
Il giorno prima, mentre Mariam mi portava il pranzo, incontrai i suoi occhi che uscivano dalla sua stanza.

In quell'istante che mi fissò, lasciò trasparire così tante emozioni che quando non lo vidi più il cuore mi batteva.

Capii che in quell' occhiata cerano scuse, ringraziamenti, e molto risentimento. Sorrisi, dopotutto.

Avrei voluto che mi vedesse in quel momento, che guardasse con i suoi occhi quello che mi aveva fatto.

Posando un attimo il libro di biologia, strizzai gli occhi e guardai l'orologio sul comodino.
Ormai era tardi, e necessitavo di riposare.

Chiudendo la luce calda della lampada, pensai che la mia vita non era mai stata più frenetica e piacevole.

Siamo Sotto la Stessa PioggiaWhere stories live. Discover now