Io nei suoi

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Mi ero ritrovata molte volte a pormi domande senza una risposta.

Certo, avrei potuto continuare a vivere con il dubbio, oppure cercare qualcuno in grado di rispondermi.

Ma semplicemente non lo facevo mai.

Me ne andavo in giro ad osservare il mondo con gli occhi di una bambina curiosa.
Guardavo le piante sbocciare, i petali cadere, i fiori appassire.
Vedevo le nuvole scorrere veloci, portandosi dietro stormi di rondini.

Le persone mutavano, lasciando alle loro spalle cambiamenti irreparabili.
Sentivo i rumori diventare diversi.
In poco tempo, il suono del fiume insidioso e casa delle mie favole, si tramutò nel semplice gocciolio del ruscello sotto casa.

Osservavo mia sorella diventare grande, mentre io rimanevo piccola ed innocente come sempre.
Osservavo i miei genitori gioire all'idea di diventare nonni, ma non capivo perché volessero qualcun altro se c'ero ancora io che potevo volergli bene.

E gliene volevo una quantità infinita, credetemi.

I ragazzi attorno a me mi lanciavano occhiate strane, appena passavo.
Forse, perché ero diventata più alta di loro in poco tempo.

"Come va oggi, torre?" mi canzonavano.

Per molto tempo diedi peso alle loro provocazioni.
Poi smisi.

Il tempo passava ai fretta.

Vedevo i paesaggi colorarsi d'autunno, d'inverno, di primavera ed infine d'estate.
In ripetizione.
Sempre gli stessi colori.
Ma poi cambiarono di colpo.

Cos'era che dava i colori ai nostri sogni?

Quali erano davvero quei colori che vedevamo?

Azzurro e bianco avrei risposto. L'azzurro più chiaro della tavolozza di un pittore, e il bianco più scuro che si può ottenere non aggiungendo neanche un po' di nero.

Avrei voluto perdermi in quel quadro così perfetto.

E forse lo avevo già fatto.

Forse era troppo tardi.

Avrei voluto chiedergli che colori vedesse lui, nei suoi sogni.

Ma non lo avrei mai chiesto.

Perché non avrei retto a sapere che nella sua testa non c'era il mio verde.



Tristan Brightwood's POV

Guardavo verso il soffitto.
Soffiavo verso il soffitto.
Persino mi ritrovai a ringhiare.

E quanto desideravo smettere.

Di pensarci
Di vederlo.
Di sentirlo.

Il qualcosa nel mio petto mi tormentava da tutta la serata.

Mi ero anche ritrovato accasciato ai piedi del letto con il viso infossato nelle ginocchia.

Mai come in quel momento avevo desiderato scomparire.
Per sentirlo affievolirsi, o magari scomparire.

Sentivo ancora una leggera pressione quando poco dopo scesi le scale per andare alla festa.
E fu allora che i miei occhi caddero su una cosa che mi fece davvero male al petto.

Ma non era il dolore che sentivo tutti giorni.
Era una forte pulsazione che si era irradiata dentro di me.

Ma non potevo continuare a provarla.
Distolsi lo sguardo quasi subito, ma sentii il suo addosso finché non mi sorpassò per avviarsi fuori.
La vidi camminare incerta mentre guardava in basso.

Era alta ed elegante. Molto più di me.

Mi domandai chi mai avrebbe considerato me di fianco ad una creatura come lei.

Ignorai la scossa che mi passò per lo stomaco quando salii in auto.

Lì appoggiata al finestrino, mentre si spingeva verso la portiera per allontanarsi da me, pensai che avrei voluto sognarla.

Immaginarla a guardarmi con gli stessi occhi con cui guardava gli alberi del giardino.
Con cui sorrideva ad un complimento, con cui ringraziava per una gentilezza.

E non capii mai perché mi importasse vederla guardarmi.

Avrei voluto sognarla perché mi avrebbe regalato i suoi occhi solo nei sogni.

E io vedevo loro, nei miei.

Bellissimi, verdi e profondi.

Perché solo in un sogno, avrei potuto chiederle se anche lei vedeva i miei.

Siamo Sotto la Stessa PioggiaWhere stories live. Discover now