2. Baguettes, pluffe e sconosciuti nel parco

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Sono sempre stata un'amante dei piccoli piaceri della vita.

L'odore del thè caldo appena sveglia, l'acqua bollente della doccia contro la pelle, oppure quando dalla riproduzione casuale di Spotify parte esattamente la canzone che vuoi ascoltare.

Già, quello era il genere di delizie a cui non avrei mai rinunciato.

Fra le tante cose, c'era anche lo svegliarsi la mattina con il sedere peloso di Darcy che si strusciava contro la mia faccia facendo le fusa. E poi, ovviamente, la passeggiata mattutina con Rhett attorno all'isolato.

Quello era sempre stato il mio momento preferito della giornata. Quando le strade sono isolate, silenziose, e la fresca brezza mattutina si insinua sotto la felpa.

Al college non avevo avuto niente di tutto questo, per ciò ero davvero felice di essere di nuovo a casa.

Seduta su una panchina del parco del mio quartiere, osservavo Rhett correre fra l'erba alta ancora ricoperta da un sottile strato di brina, intento a rincorrere i grilli che cercavano disperatamente di sfuggirgli. Tenevo le gambe incrociate, mentre fra le mani stringevo una copia di "Ragione e sentimento" e dai miei auricolari risuonava "Do I wanna know" degli Artic Monkeys.

Ecco, quello era esattamente il tipo di pace e serenità che tanto mi era mancata.

Ad un tratto, però, vidi Rhett saltare sull'attenti. Si fermò di colpo, in mezzo al prato, con il muso fisso su un punto preciso davanti a sé. Seguii il suo sguardo fino a quando non mi accorsi che, a qualche metro di distanza da me, si trovava un'altra persona.

Un ragazzo.

Era lì, fermo alla fermata dell'autobus, con le mani nelle tasche dei jeans scuri che indossava. Portava una maglietta nera, coperta da una giacca di pelle dello stesso colore. In testa, invece, un cappello a testa stretta, in tinta con il resto dell'outfit. Sulle spalle teneva la custodia di una chitarra. Ciondolava distrattamente da un piede all'altro, con non-chalance, finché, ad un tratto, il suo sguardo non incrociò quello di Rhett. Lo vidi irrigidirsi immediatamente e fare qualche passo indietro, forse spaventato. E la cosa era del tutto sensata, credo che chiunque sarebbe stato intimorito nel vedere un pastore maremmano di ottanta chili che ti fissa con aria insistente.

«Rhett!» lo richiamai. Volevo che il ragazzo mi vedesse, così da capire che non correva alcun pericolo.

E sì, il ragazzo mi vide. Eccome se mi vide.

Si girò verso di me e iniziò a fissarmi con insistenza, senza ritegno. Io ricambiai lo sguardo inarcando un sopracciglio.

Beh? Che voleva?

Lanciai un'occhiata veloce ai miei vestiti. Indossavo i pantaloni del pigiama con sopra gli unicorni, abbinati alla mia felpa preferita, quella di Stitch che aveva le orecchie sul cappuccio e una calda tasca sul ventre, in cui poter infilare le mani.

Tutto normale, insomma.

Rhett si avvicinò nuovamente a me, senza distogliere lo sguardo da quell'individuo che, a sua volta, non smetteva di fissarmi, facendomi innervosire.

«Che c'è? Vuoi una foto?» sbottai, incrociando le braccia al petto.

Il ragazzo, in tutta risposta, sorrise.

Proprio in quel momento l'autobus comparve all'inizio della via e si accostò accanto a lui, spalancando le porte per farlo salire. Lo sconosciuto mise un piede sul bordo del mezzo ma, per un secondo, si voltò nuovamente verso di me, con ancora quel sorrisetto stampato sul volto. Io sostenni il suo sguardo, senza esitare, finché lui non fu costretto a salire a bordo.

Questa non è una storia d'amore Where stories live. Discover now