22. Con un poco di cioccolata la pillola va giù

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Okay amici, perdonatemi per il lieve ritardo. Sono molto indecisa sulla piega che voglio dare alla trama, ed è per questo che questi ultimi capitoli sono usciti un po' a rilento. Ma ora credo di aver preso una strada abbastanza chiara, quindi... ENJOY

Vi faccio un piccolo riassunto veloce di quello che successe quella sera quando arrivai a casa.

Mia mamma cercò di giustificarsi, ma questo non mi impedì di lanciarle addosso la cuccia di Rhett. 

«Ti serviva comunque un accompagnatore...» disse, semi nascosta dietro al divano.

Le lanciai anche la cuccia di Darcy.

«Nick, mamma? Stai scherzando?»

«A te serviva un accompagnatore, e a lui pure. E' solo una formalità.»

«Che diavolo c'entra lui?» sbraitai, fuori di me.

«Ora che la sua band ha firmato con papà bisogna che partecipi a tutte queste-»

Non le diedi modo di finire la frase. Afferrai un cuscino, saltai dall'altra parte del divano e iniziai a colpirla.

«Non siamo più nell'ottocento, mamma! Posso tranquillamente venire da sola!» 

Lei scappò via, andandosi a nascondere dietro mio padre che, confuso, era appena entrato in salotto.

«Coraggio, Cami. E' solo questione di marketing. E' importante che lui entri nel giro, e tu puoi aiutarlo in questo. Come amici, solo come amici.»

Io aggrottai un sopracciglio.

«Non siamo amici.» sbuffai.

«Tua madre ha ragione, Cami.» disse mio padre, avvicinandosi a me. «Mi dispiace che le cose fra voi non abbiano funzionato, ma al di là di quello i Mad Mind hanno davvero un bel potenziale. Te lo chiedo io, come favore personale. Credo che potremmo fare qualcosa di bello con quei ragazzi.»

Io lo guardai scocciata. Lui mi fece il suo sguardo da cerbiatto. Mia madre ci aggiunse un labbro tremolante.

Morale della favola: non potei fare altro se non accettare, a malincuore.

Tralasciando quello spiacevole episodio, mi dissi che niente sarebbe riuscito ad abbattere il mio buonumore, neanche Nick con il suo stupido sorrisetto affascinante e gli occhi da trota che si ritrovava.

La mattina dopo mi preparai per il mio primo giorno di lavoro.

Indossai un paio di jeans a vita alta e una camicia azzurra, sotto ad una giacca elegante. A malincuore indossai le scarpe nere col tacco. Dio, mi sarebbe mancato mettere le scarpe da ginnastica tutti i giorni. 

Afferrai la borsa, il laptop, il pranzo e uscii di casa, diretta verso la fermata dell'autobus. A metà del vialetto, però, mi fermai.

C'era una macchina parcheggiata davanti a casa mia.

Deglutii e, lentamente, mi avvicinai. Il finestrino dal mio lato si abbassò, e il ragazzo seduto all'interno evitò il mio sguardo.

«Sali.» disse in tono risoluto. 

«Devo... devo andare a lavoro.» esitai.

Lui si voltò verso di me, rivolgendomi uno sguardo che non riuscii a decifrare.

«Lo so. Ti accompagno. Ora sali.»

Io esitai un secondo, ma poi mi decisi a salire. Mi richiusi dietro la portiera, allacciai la cintura e lui mise in moto. 

Per i primi secondi nessuno dei due disse niente. Osservai il suo profilo, giocherellando nervosamente con le mani. Alla fine, sospirai.

«Mi dispiace, Mike.» mormorai. «Ti giuro, non era affatto mia intenzione. E' stato tutto... un malinteso.»

Questa non è una storia d'amore Where stories live. Discover now