20. Puzzi di culo di gallina

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Quando ero piccola ero convinta che sarei potuta diventare una scrittrice, un giorno.

Poi avevo partecipato ad un concorso, avevo perso e avevo preso a pugni il vincitore davanti a tutta la giuria. Fui bandita da tutte le competizioni future. Il mio sognò sfumò nell'aria.

Poi decisi che sari diventata una biologa marina. Ma gli animali mi odiano.

Avrei potuto fare la cuoca, se avessi saputo cucinare.

Morale della storia: dopo una settimana passata davanti al computer a cercare un'alternativa su cui costruire la mia vita dopo il fallimento del mio colloquio mi resi conto che l'unico fallimento, in realtà, ero io.

Mia madre entrò nella stanza, e il fasciò di luce proveniente dal corridoio mi accecò.

«Tesoro, il tuo amico è venuto a trovarti.» mormorò.

Io non risposi. Affondai il biscotto al cioccolato nella vaschetta di gelato alla crema, per poi portarmelo alle labbra.

«Grazie, signora Cooper. Ci penso io.» sentii sussurrare alle mie spalle.

Il fascio di luce scomparve, e dei passi si avvicinarono a me. Sentii la presenza del ragazzo, alla mia destra, sedersi sul pavimento accanto a me.

«Mi spezzi il cuore, Willow.» sospirò, tirandomi giù il cappuccio della felpa.

«Lasciami sola.» bofonchiai, con la bocca ancora piena di gelato. «Credo che morirò qui, in questa stanza. Troveranno il mio cadavere in decomposizione dopo due mesi, con Darcy che fa le fusa accanto ai miei arti scheletrici.»

Il mio gatto, spaparanzato sul letto, alzò il muso per un secondo.

«Coraggio, Willow, era solo un colloquio. Puoi trovarne altri.»

«Sei venuto per farmi qualche specie di discorso motivazionale? No, perché ti risparmio tempo e ti dico che non mi suiciderò. Non ancora, per lo meno.»

Lui alzò gli occhi al cielo.

«No, sono qui perché voglio che usciamo. Tu hai bisogno di distrarti, e io devo smettere di pensare a Jessica.»

Mugolai, affondando il volto nel cuscino a terra accanto a me.

«Non hai degli amici?» sbuffai.

«I miei amici non fanno altro che ripetermi che dovrei smetterla di piagnucolare e trovarmi un'altra.»

«Lo penso anche io, se è per questo.»

«Sì, ma sono abituato a non prenderti sul serio.»

Sbuffai e, ignorandolo, tornai a concentrarmi sulla TV.

«Coraggio, Cami, dico sul serio. Devi andare avanti. È passata una settimana e praticamente non sei uscita da questa stanza. Ho bisogno che torni a lavoro, fra le altre cose.»

«Ah, giusto.» mi voltai verso di lui, pulendomi il gelato dalle labbra con la manica della felpa. «Mi licenzio.»

«Dimissioni respinte. Coraggio, alzati, qua dentro c'è puzza di morto.»

Si alzò in piedi e si avvicinò alla finestra per aprire le tende. La luce del giorno mi accecò, e fui costretta a nascondere il viso nella federa del cuscino.

«Non è la stanza, sono io.» mormorai.

«Che?»

Lo sentii piegarsi verso di me e annusare l'aria.

«Dio, Willow, sei disgustosa! Da quant'è che non ti lavi?»

Io mugolai, alzando appena lo sguardo su di lui.

Questa non è una storia d'amore Where stories live. Discover now