9. Il patto

18.9K 1K 750
                                    

Che sia chiara una cosa: io non stavo assolutamente evitando Nick.

Il fatto che il giorno dopo l'appuntamento con lui avessi chiesto a Scott di cambiarmi gli orari a lavoro era tutto un caso. Così come il fatto che non potessi mai arrivare al telefono quando casualmente lui mi chiamava, oppure che non avessi mai tempo di rispondere ai suoi messaggi.

Ma davvero, io non lo stavo evitando. Affatto.

Dopo una settimana passata a sentirmi ripetere le stesse domande insistenti da mia madre e dai miei amici, quel mio piccolo attimo di debolezza sembrava finalmente iniziare ad uscire dalla mia vita. E sì, ho usato volontariamente la parola "debolezza". Non nego che quella sera, quel ragazzo dallo sguardo magnetico avesse esercitato un certo... fascino, su di me. E in fondo sono pur sempre una ragazza, volente o nolente.

Ma fortunatamente mi era bastata una botta in testa e un'approfondita chiacchierata con la vocina nella mia testa, per farmi rinsavire.

Quando vuoi, sorella.

Ed è per questo motivo che quel pomeriggio, poggiata con i gomiti sul bancone di legno del locale isolato, potevo occuparmi tranquillamente della preparazione del mio imminente colloquio di lavoro, senza altri pensieri di vario genere a distrarmi.

Per lo meno, fino a quando Scott non decise di interrompere quel prezioso silenzio con le sue urla.

«Se mi lasciassi parlare, forse potrei spiegarti!» esclamò, sbattendosi la porta del retro alle spalle.

Teneva il cellulare accanto all'orecchio e, da come camminava avanti e indietro per il locale, sembrava parecchio nervoso.

«Jessica, mi spieghi come faccio con il bar? Non posso chiedere due giorni di permesso al mio capo, capisci? Sono io il capo!» sbottò, alzando le braccia al cielo.

Io cercai di soffocare una risata, affondando le labbra nel palmo della mano. Il ragazzo si voltò verso di me e mi fulminò con lo guardo, così io finsi un colpo di tosse e mi voltai dall'altro lato.

«Il mio lavoro è importante, cazzo. Non tutti possiamo fare quello che vogliamo.»

Come ebbe pronunciato quelle parole, vidi i suoi occhi spalancarsi di colpo.

«Non intendevo dire che fare la cameriera non sia un lavoro importante, è solo che... pronto? Amore, ci sei?»

Sbuffò, lasciando ricadere il cellulare sul bancone a pochi centimetri da me. La foto impostata come screensaver ritraeva lui e Jessica abbracciati davanti ad un molo.

Alzai gli occhi al cielo.

Che vi dicevo? L'amore porta solo un sacco di seccature.

Mi schiarii la gola e, sfogliando distrattamente gli appunti sotto di me, lanciai di sfuggita un occhio al mio capo che, dall'altro lato del ripiano, continuava a passarsi le mani fra i capelli.

«Problemi in paradiso?» chiesi, cercando di utilizzare un tono disinteressato.

Lui non rispose, e io mi morsi il labbro.

«Beh, devo dire che ci sai proprio fare con le ragazze, campione.» lo presi in giro.

A quelle parole, Scott si decise ad alzare lo sguardo su di me. Teneva il labbro all'infuori come un bambino offeso. Mi veniva voglia pizzicargli le guance.

«Non sei nella posizione di criticarmi.» bofonchiò.

Alzai un sopracciglio, incrociando le braccia al petto.

«Che vorresti dire?» domandai, reggendo lo sguardo.

Il ragazzo imitò la mia posizione, superandomi però di diversi centimetri in altezza.

Questa non è una storia d'amore Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora