19. Come riprendersi dalla sbronza: un tutorial di Camille Cooper

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La domanda che mi sorse spontanea non appena ebbi aperto gli occhi fu la seguente: cosa diamine ci faceva un martello pneumatico in camera mia?

Le considerazioni in merito, negli istanti successivi, furono rispettivamente due: quello non era un martello pneumatico, e quella non era camera mia.

Rantolai, cercandomi di tirarmi su a sedere.

Il bagno. Quello era chiaramente il mio bagno. O meglio, quello che sarebbe diventato un bagno una volta finiti i lavori. Per ora era solamente uno stanzino buio con dei tubi alle pareti e un water incrostato. Che puzzava di vomito, per inciso.

La luce flebile che trapassava dalla finestra mi fece pulsare gli occhi, così li richiusi e crollai a terra.

«Madre, perdoname por mi sbronza loca...» mormorai, sentendo la voce raschiarmi in gola.

Il martello pneumatico, che attraverso i miei amplificati sensi da post-sbornia si era rivelato essere una sveglia, proveniva dal salotto. Mi alzai in piedi, aiutandomi con il water, e uscii dal bagno strascicando i piedi.

Rettifica: non era il gabinetto a puzzare di vomito, ero io.

Vagai per l'appartamento alla ricerca del mio cellulare. Lo trovai dopo un po', a terra, tra il divano e le tre bottiglie vuote della sera prima. Premetti lo schermo. Ancora. Ancora. E ancora. 

Niente. Era morto. E allora da dove diamine veniva quel suono infernale?

Cercai di seguire il rumore. Feci il giro del divano. Era lì, lo sentivo, c'ero vicina...

Inciampai e caddi a terra, battendo il sedere contro il parquet scheggiato, e il cuscino su ero inciampata urlò.

Aspetta, che?

«Gesù, Willow. Non potresti fare attenzione?» mormorò il, a quanto pareva, non-cuscino.

Alzai lo sguardo e, anche se sfuocato, riuscii a scorgere la sagoma accartocciata su se stessa che riconobbi come Scott.

«Buongiorno principessa.» sorrisi, rotolando verso di lui.

«Buongiorno un cazzo. Cos'è questo rumore infernale?» sbuffò.

«Il tuo pacco.»

«Potresti non essere volgare?»

«No, davvero. Il tuo pacco vibra.»

Lui abbassò lo sguardo e sbuffò. Infilò una mano nei pantaloni e ne tirò fuori il cellulare. Non mi presi neanche la briga di distogliere lo sguardo. 

Il ragazzo si passò una mano sul volto, premendo le dita sul ponte del naso.

«Dio... ricordami di non seguire mai più i tuoi consigli.» sbuffò.

«Piantala di fare la femminuccia. Ti serviva una sbronza.»

Lui sbuffò di nuovo, decidendosi finalmente ad aprire gli occhi. Subito incrociarono i miei. Eravamo vicini. Sentii un brivido che mi parve familiare e mi morsi il labbro.

«Come stai?» chiesi ad un tono di voce più basso.

«Non andrò a suicidarmi, se è questo che ti preoccupa.» abbozzò un mezzo sorriso.

Abbassò appena lo sguardo, e i suoi occhi ricaddero inevitabilmente sul labbro che stringevo nervosamente fra i denti. Lo osservò per alcuni secondi, fino a quando, lentamente, iniziai a vedere il sorriso scivolare via dal suo volto. Rialzò di colpo gli occhi, ed entrambi sgranammo le palpebre.

«Tu!» gridai, tirandomi indietro. Mi misi seduta ed indietreggiai con il sedere, puntandogli un dito contro.

Lui fece lo stesso, ma fu costretto a fermarsi quando le sue spalle toccarono il divano.

Questa non è una storia d'amore Where stories live. Discover now