01. Odio l'arte e l'arte odia me.

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Spalanco la porta di legno che porta alla cucina, prendo una delle sedie poste intorno al tavolo e la giro per poi sedermi sopra a cavalcioni.
Alzo lo sguardo per incontrare quello dei miei genitori che era già puntato su di me.

«Ho bisogno di soldi.» esordisco.
Mio padre alza un sopracciglio.

«Quanto?» chiede. Lo guardo.
Questa è la volta buona che mi ammazza.

«Pochi soldi...» Prendo un po' di tempo mentre lui mi guarda in attesa di una risposta. «Qualcosa come cento o duecento eu-» Mio padre mi interrompe subito con un «Sono povero.» Torna a leggere il giornale che aveva precedentemente lasciato sul tavolo durante il mio ingresso in cucina.

Mia madre non ha ancora proferito parola. Mi fissa ancora un po', e devo ammettere che la cosa sta diventando inquietante.
«Per caso sei finita nei guai con qualche spacciatore e gli devi dei soldi?» chiede.

Alzo gli occhi al cielo. «No ma -» non mi lascia finire che mi interrompe.

«Sei nei guai in generale?»

«No m-» mi interrompe nuovamente.

«Rischi la vita se noi non ti diamo questi soldi?» continua.

Oddio, questa conversazione non avrà fine.

«No, non rischio la mia -» e anche questa volta non mi lascia finire.

Gesù, non ce la posso fare.

«Allora non ti servono.» sentenzia.

Torna a cucinare, mentre mio padre se la ride sotto i baffi.

«Oh andiamo, mi servono per un tatuaggio.» borbotto. Entrambi scoppiano a ridere.
Cosa ho detto di così divertente?

«Tu vuoi farti un tatuaggio?» mi chiede mia madre in preda alle risate.
«Proprio tu, che hai paura degli aghi?».

Mio padre si calma leggermente, per poi parlare. «Ti devo ricordare cosa è successo l'ultima volta che ti abbiamo portata a fare un vaccino?»

Ouch, questo è un colpo basso.

C'è la remota possibilità, ma proprio minima, che io abbia, accidentalmente, tirato un pugno all'uomo che doveva farmi il vaccino, rompedogli il naso.
In mia discolpa posso dire di avere un gancio destro talmente fantastico che l'altro dottore presente nella stanza mi aveva pure fatto i complimenti.

Gemo. «Oh andiamo! È successo due anni fa! Ora sono una persona matura.» dico ormai esasperata.

Mia madre alza un sopracciglio. «Il fatto che tu abbia compiuto i diciotto anni quasi un mese fa non ti rende una persona matura.» Poi esce dalla stanza per andare non so dove.

Mi giro verso mio padre e lo fisso. Mi viene un'idea. «Papá!» lo richiamo. «La mamma lo sa che lo scorso weekend, quando dovevi portarla a fare shopping, tu non eri davvero in ospedale perché un tuo amico si era fatto male, ma eri a casa sua a vedere la partita di baseball?» Lui trasalisce.

«Potrei mantenere il silenzio in cambio di quei soldi...» Ghigno. Avrò quel tatuaggio.

Mi guarda minaccioso. «Tu,» mi punta un dito contro, «piccola nana malefica, non oserai mica...», poi smette di parlare e fa finta di asciugarsi una lacrima. «No, oseresti eccome. Ti ho cresciuta proprio bene.» mi dice orgoglioso di sé stesso.

Controlliamo entrambi che la mamma non stia arrivando.
Si gira verso di me. «Tieni se c'è il resto, riportamelo. E per sicurezza portami anche lo scontrino.» Apre il portafogli e mi mette sulla mano una banconota da cento euro e due da cinquanta. Se lo rimette in tasca e continua a parlare. «Tua madre non dovrà mai sapere niente. Né della partita di baseball né dei soldi che ti ho dato.» Mi guarda un'ultima volta. «E voglio il resto.»

Mai andare dal tatuatore se la sfiga ti perseguitaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora