24. Forse non dovevo essere così impulsiva.

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Mi allungo sul tavolo per prendere la bottiglia di vino e riempirmi il bicchiere, per poi berne tutto d'un sorso il contenuto.

Senza alcol non vado avanti.

Questa cena è degenerata.
Paul e mio padre parlano di calcio, o basket, o football, non ho ben capito di quale sport parlino, e stanno praticamente urlando.

Julie e mia madre parlano di cucina, e mia madre si sta vantando di come è brava a fare la torta alle mele, torta che ho fatto io.

Skyler non è potuta venire perché è ammalata e Connor è a casa da un amico.

James non smette neanche due secondi di scrivere al cellulare e io mi sto profondamente annoiando.

In un momento in cui eravamo tutti distratti Aisha ha preso la bottiglia di birra di Paul e se l'è bevuta, e penso si sia ubriacata, considerando che ha iniziato a ridere senza sosta, così Julie le ha fatto bere l'acqua ed è riuscita a farla addormentare.

Ma i bambini si possono ubriacare?

Mi giro verso James, e inizio a fissarlo insistentemente, sperando che metta via il cellulare e la smetta di essere così irritante.

Vedo che le sue dita continuano a muoversi velocemente sullo schermo del suo cellulare e il suo sguardo non si alza minimamente.

«James», provo a chiamarlo.

Mi ignora come io ignoro i professori durante le spiegazioni.

«James», riprovo a chiamarlo a voce più alta, ma sembra tutto inutile.

È più sordo della signora Porter.

«James!» urlo, e la sala cade nel silenzio, perché tutti a questo tavolo si girano a fissarmi, tutti tranne il diretto interessato.

Mi viene un tic nervoso all'occhio, e scommetto che in questo momento sembro una ragazza da interrare in un ospedale psichiatrico, e in un impeto di rabbia prendo il cellulare di James e lo lancio da qualche parte colpendo, per sbaglio, l'orrendo vaso della mamma.

Vaso che avevo già rotto e a cui dovevo dare la colpa ad Amanda, prima che a papà venisse l'idea di incollare i pezzi.

Ci è voluto un pomeriggio intero, ma almeno la mamma non si è accorta di niente.

Mia madre poggia i palmi aperti delle mani sulla superficie del tavolo, e si alza in piedi, facendo strisciare la sedia sul pavimento e creando un rumore fastidiosissimo.

Mi guarda incazzata, e adesso è lei che ha un tic nervoso all'occhio.

Nel frattempo anche James mi sta guardando male, perché il suo cellulare è praticamente distrutto.

Forse non dovevo essere così impulsiva.

«Brianna Veronica Lester!» urla mia madre.

A quel punto James spalanca gli occhi. «Il tuo secondo nome è Veronica?» chiede, ma ignoro completamente quello che ha detto, perché mia madre è davvero incazzata.

«Sono stanca di tutti i guai che combini», continua mia madre praticamente urlando, «hai diciotto anni, non sei più una bambina, eppure ti comporti sempre, e dico sempre, come tale» sibila, incazzata.
«Vattene in camera tua, e ti conviene cambiare atteggiamento, perché io mi sono stancata!»

Mio padre le tocca il braccio. «Tesoro, calmati.»

«Io -» tento di protestare, ma vengo bruscamente interrotta.

«Ho detto vattene in camera tua, ora!» mi urla praticamente in faccia e, dato che sono rare le volte in cui si arrabbia seriamente e dato che non fanno bene al bambino tutte queste urla, mi alzo dalla sedia e a testa bassa inizio a salire le scale per andarmene in camera mia.

Mi chiudo a chiave e guardo il soffitto, sdraiata sul mio letto.

Ora mi sento tremendamente in colpa.

Mi giro a pancia in su e affondo la testa tra i cuscini, pensando a quello che ha detto mia madre.
So che era solo arrabbiata, ma so anche che aveva ragione per quanto riguarda il mio comportamento.
La maggior parte del tempo non sono mai seria, perché voglio sempre strappare un sorriso alle persone e vederle ridere, però non pensavo di risultare infantile ai suoi occhi.

Sento bussare alla porta, e resto in silenzio nella speranza che chiunque ci sia dietro se ne vada e mi lasci da sola, ma a quanto pare l'altra persona non è della stessa idea, considerato che continua a bussare, e sento la maniglia abbassarsi più volte.

Resto con la testa tra i cuscini, ma la persona dietro la porta non è intenzionata a lasciarmi sola.

«Brianna, apri, sono io.» Sento la voce di James, ma lo ignoro.

Non ce l'ho con lui, ma non riuscirei a guardarlo negli occhi a causa dei sensi di colpa.
Magari stava scrivendo con una persona importante e adesso non può più farlo a causa mia.

James continua a bussare. «Andiamo Veronica, apri.»

E addio sensi di colpa.
Odio avere un secondo nome.

Scendo di scatto dal letto, giro la chiave e spalanco la porta, guardando male James, che nel frattempo è entrato in camera e si è sdraiato sul mio letto.

«No, ma fai come se fosse casa tua» borbotto, mentre richiudo la porta.

«Prego, accomodati» mi dice, sorridendomi, e battendo una mano sul letto accanto a lui.

Resto in piedi al bordo del letto, e incrocio del braccia al petto. «Come mai sei salito qui in camera?»

Lui mi ignora e mi tira per il braccio, facendomi cadere sul letto, così mi sdraio accanto a lui a pancia in giù con la testa appoggiata sui pugni chiusi.

«Perché hai lanciato il mio cellulare?» mi chiede, ed io distolgo lo sguardo da lui.

«Perché... beh, tu mi stavi ignorando, io mi stavo annoiando, sono in fase premestruale e ho reagito d'impulso» provo a giustificarmi.

Torno a guardarlo negli occhi. «Scusa per il cellulare.»

James sorride. «Tranquilla, almeno adesso ho una scusa per farmene regalare uno nuovo.»

«Comunque, con chi scrivevi da non riuscire più a staccarti da quello che era il tuo cellulare?» chiedo, per curiosità.

«Mi sono lasciata con la mia ragazza. Era diventata asfissiante e tra noi non c'era più niente da tempo.»

«Come si chiama?»

«Bethany.»

Corrugo la fronte. «Dimmi che non si tratta di Bethany Anderson» dico, in tono supplicante.

James mi guarda confuso. «Si, è lei, come la conosci?»

Distolgo lo sguardo, imbarazzata, e rido nervosamente. «Diciamo che andiamo a scuola insieme... e diciamo che non siamo mai andate d'accordo... e che una volta Carly, la mia migliore amica, le ha tirato una testata e le ha rotto il naso...» mormoro.

James scoppia a ridere. «Una pazza come te non poteva che avere una migliore amica altrettanto pazza» dice, scompigliandomi i capelli.

«Ehi» protesto, schiaffeggiandogli una mano, «non toccare i miei capelli!»

Mai andare dal tatuatore se la sfiga ti perseguitaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora