21. Datemi una N, datemi una O e... la mia risposta è sempre NO!

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Lascio cadere la mia testa sulla superficie della scrivania, ormai arresa all'idea di capirci qualcosa.
«Io voglio sapere chi ha inventato la matematica» mormoro sconsolata.
Saranno almeno due ore che sono seduta in camera mia per fare i compiti, ma non ci capisco niente.
Su dodici espressioni che ho fatto, sono solo due quelle che mi sono venute giuste.
La cosa più ironica è che l'ultimo giorno di scuola i professori salutano gli alunni dicendo buone vacanze e divertitevi. Mi raccomando fate i compiti.
È un controsenso unico.
Oppure ti becchi il prof che da giugno dell'anno prima non vedeva l'ora che arrivassero di nuovo le vacanze, e quindi saluta tutti dicendo ci vediamo a settembre, merde!
Ecco, il mio prof di chimica faceva parte della seconda categoria e, grazie al cielo, si è rifiutato di darci dei compiti estivi. La sua giustificazione era stata poi mi tocca controllarli a settembre, e non ho voglia.
Quel prof è un mito.
Poi c'è il mio prof di matematica, che ti assegna più esercizi possibili e immaginabili e ti dà problemi da risolvere che sono oltre ai limiti dell'immaginazione, convinto che tutti sono i nuovi Einstein e sono dei piccoli geni.
E, per carità, c'è chi è davvero un piccolo genio in via di sviluppo, ma c'è anche chi non capisce niente di numeri, soprattutto quando vengono aggiunte anche le lettere, e quindi tu ti chiedi se stai facendo matematica o italiano.
Ho scelto di fare l'artistico perché, in primis, mi piace disegnare, ma anche perché non doveva essere tanto difficile.
E invece mi ritrovo qui, seduta sulla sedia davanti alla scrivania, con un accendino in mano, indecisa se dare fuoco o meno al libro di matematica, e al quaderno, e anche al professore.

No, al professore no, mi manca solo di finire dietro le sbarre.
Con la sfiga che mi perseguita potrebbe anche succedere che per sbaglio uccido due carcerati, cinque agenti e faccio crollare il tetto.
E bum, ecco dodici ergastoli e una taglia sulla mia testa.
E magari tutto questo succede mentre dovevo semplicemente starnutire.
Ormai mi sono rassegnata alle cose strane che succedono nella mia vita.
Talmente rassegnata che ormai passo sotto la scala senza paura e non mi spavento se un gatto nero cammina davanti a me.

Sono ancora con l'accendino in mano, quando mia madre spalanca la porta di camera mia, facendola sbattere contro il muro e creando un tonfo.

Mi paralizzo, con l'accendino acceso, e lei mi guarda stralunata.
«Oddio, fumi?» urla.

Spengo l'accendino e lo appoggio sulla scrivania. «No mamma, non fumo.»

Mio padre sale di corsa le scale e si mette accanto a mia madre. «Chi fuma?»

Mia madre mi punta l'indice contro. «Tua figlia fuma.»

Alzo gli occhi al cielo. «No, non fumo le sigarette.»

Mia madre sembra crederci, quando dopo pochi secondi mi lancia un'occhiata di fuoco.

Se fossi un chicco di mais sarei diventata subito popcorn.

Continua a fissarmi male. «Oddio, non ti fumi le sigarette perché ti fumi le canne, vero?» ride istericamente.
Poi sembra parlare più con se stessa che con me. «Ma certo, non potevo fare una figlia così stupida. È tutta colpa dell'erba che le ha fuso i neuroni. È così che si inizia. Prima ti fai qualche canna, poi inizi a farti di crack, di metanfetamina, di cocaina e poi ecco che sei una tossicodipendente. E ovviamente tutti daranno la colpa ai genitori, no? Quando noi volevamo solo una figlia normale. Anzi, all'inizio doveva pure essere un maschio. L'avrei preferito.»

Trattengo a stento una risata. «Mamma, non ho mai fatto uso di droghe.»

Ma lei continua a rimanere seria. «E l'accendino acceso come me lo spieghi, eh? E l'assenza dei tuoi neuroni?»

Rido. «Mamma, i miei neuroni si sono suicidati da molto tempo. E poi avevo l'accendino acceso perché stavo pensando se dare fuoco al mio professore di matematica o no.»

Mia madre spalanca la bocca. «Era meglio l'idea di te come tossicodipendente che come assassina.»

Mio padre prende finalmente parola. «Kate, pensi davvero che nostra figlia possa diventare una serial killer? È troppo pigra per seguire una persona, trovare il momento giusto, accertarsi che non ci siano testimoni, stare attenta a non lasciare impronte, ucciderla, e poi nascondere il cadavere. Al massimo può provare ad esorcizzarla.»

Ho le lacrime agli occhi.
Sono commossa, davvero, da quanto mio padre mi conosce.
Vado verso di lui e lo abbraccio. «Papá, tu sei l'unico uomo che mi abbia mai capito. Sei il mio genitore preferito.»

Fa finta di asciugarsi un occhio. «Lo so, tesoro, lo so.»

Mia madre ci colpisce con la ciabatta. «Idioti!»

«Comunque, perché siete in camera mia?» chiedo.

Mia madre pare ricordarsi. «Oh sì giusto. Devi portare la cornice che ho aggiustato alla signora Porter.»

Sgrano gli occhi e inizio ad indietreggiare, scuotendo la testa in senso di negazione.
«Mi rifiuto. Andare da lei equivale ad iniziare una conversazione con suo marito.»

Mio padre mi sorride perfido. «E potrebbe pure esserci sua nipote Amanda.»

«A maggior ragione non ci vado.»

«Ti prego. Ti offro del cibo.» Mia madre prova a corrompermi, ma neanche la mia unica fonte di felicità potrà servirmi.

«No. E se insistete vi dico no come le cheerleader.»

«E cioè?» chiede confuso mio padre.

Improvviso un balletto e inizio ad urlare. «Datemi una N, datemi una O e... la mia risposta è sempre NO!»

*****

Venti minuti più tardi sono davanti alla casa della signora Porter.

Il balletto da cheerleader non è servito.

Suono il campanello e attendo che mi venga ad aprire.

Sento dei passi avvicinarsi e la porta si apre, e la signora Porter mi sorride. «Ciao cara, come mai sei qui?»

Le porgo il sacchetto che ho in mano. «Mia madre ha aggiustato la sua cornice.»

Prende il sacchetto. «Grazie. Kate è davvero troppo gentile.» Apre di più la porta. «Prego entra. Stamattina ho fatto una torta ai frutti di bosco e cioccolato bianco. Prima Mike ne ha assaggiato una fetta, dice che non esiste cuoca meglio di me!»

Rido nervosamente. «Devo proprio andare.»

All'ingresso arriva anche Amanda.

Oh no.
Aiutatemi.

«Ciao Brianna! Vieni a giocare con me? Nonno Mike dice che gli fa male ma schiena e quindi deve stare seduto.» Poi si avvicina e inizia a bisbigliare. «Sai, il nonno non è più giovane come una volta.»

Ma non mi dire.

Faccio per andarmene. «Devo...»

La signora Porter mi afferra per un braccio. «Devi assaggiare una fetta di torta. Vieni, entra.»
Non mi lascia il tempo di replicare che mi trascina dentro casa, chiudendo la porta a chiave.

Mi giro a guardarla, e vedo che sia lei che Amanda mi sorridono in modo inquietante.

Perché non mi sono portata la croce, la Bibbia e l'acqua santa?

Mai andare dal tatuatore se la sfiga ti perseguitaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora