03. Userò la tua testa come palla da bowling.

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Un suono assordante interrompe il mio bellissimo sogno.
Ci metto un po' a capire che il suono proviene da quell'aggeggio infernale più comunemente conosciuto con il nome di sveglia.
Inizio a imprecare mentalmente e mi viene voglia di prendere e lanciare contro al muro la sveglia, proprio come ho fatto con l'ultima, e con le tre precedenti, e farei lo stesso anche con questa se non fosse per il fatto che mia madre, da gentile donna qual è, mi ha minacciato dicendomi che se rompo anche questa sveglia la prossima volta lancia me contro al muro, e l'idea non mi entusiasma per niente.

Spengo la sveglia e mi giro dalla parte opposta, sperando di riuscire a riaddormentarmi. Poi mi ricordo di che giorno si tratta.

Merda, oggi è lunedì. È il mio primo giorno di lavoro.

Mi alzo di scatto dal letto e prendo dei vestiti a caso dalla sedia, ormai diventata il mio nuovo armadio.

Spero solo che la maglia non sia sporca.

Scendo di corsa le scale e vado in cucina per mangiare qualcosa. Vedo che mia mamma è già seduta al tavolo con una tazza di caffè tra le mani.

«Perché non mi hai svegliata prima sapendo che inizio a lavorare?» le chiedo.

Mi guarda e alza un sopracciglio perfettamente colorato con una matita apposta.

È mia madre e si trucca meglio si me, accidenti.

«Tu hai detto di essere diventata responsabile, Brianna. Quindi è tua anche la responsabilità di svegliarti in orario» mi dice.

Sento dei passi frettolosi scendere le scale e poi mio padre entra in cucina.

Ma non dovrebbe essere già a lavoro?

Guarda mia madre. «Kate, tesoro, perché non mi hai svegliato vedendo che ero in ritardo per il lavoro?».

Mia madre batte la sua mano destra sul tavolo. «Siete responsabili! Svegliatevi da soli, deficienti!» urla.

«Mamma» la richiamo.

Lei risponde in modo scontroso. «Che c'è?».

«Hai il ciclo?» le chiedo.

«Si, okay? Sono io che soffro, non tu. Tu non puoi capire cosa proviamo noi ragazze una volta al mese» mi dice.

Sospiro. «Mamma, ti ricordo che pure io sono una ragazza e ho le mestruazioni».

«Hai ragione».

Mio papà ha una faccia terrorizzata. Quando io e mia madre abbiamo le nostre cose lui deve comportarsi bene e fornirci tutta la cioccolata di cui abbiamo bisogno. È letteralmente terrorizzato da noi quando abbiamo le mestruazioni.

«Mentre torno dal lavoro mi fermo a comprare una tavoletta di cioccolato fondente» dice rivolto a mia madre.

La mamma lo guarda contrariata, così mio padre ritenta.

«Due tavolette di cioccolato? Una fondente e una al latte?».

Mia madre è ancora contrariata.

«Tre tavolette di cioccolato? Una fondente, una al latte e una al cioccolato bianco?».

Mia madre non è ancora contenta.

«Tre tavolette di cioccolato? Una fondente, una al latte e una al cioccolato bianco e un barattolo di nutella?» ritenta.

Mia madre sorride felice. «Chris, ti ho mai detto quanto ti amo?».

Mio padre mormora cose incomprensibili.

Probabilmente sta maledicendo la donna che ha deciso di sposarsi.

Mi giro a guardarlo. «Papá, mi accompagni a lavoro?».

«Scusa Brianna ma sono anch'io in ritardo».

«Non c'è bisogno di fermarsi. Tu rallenti e io scendo mentre la macchina va ancora».

«Affare fatto» e ci stringiamo la mano.

Vado in bagno a lavarmi i denti e raggiungo mio padre in macchina.

Come avevamo precedentemente deciso, scendo dalla macchina mentre sta ancora andando.

Raggiungo il negozio e apro la porta.

Non l'avessi mai fatto.

Appena l'ho fatto è caduto un oggetto da una mensola.

Quello che dovrebbe essere il mio capo alza un sopracciglio. «Per caso in questi tre mesi in cui lavorerai qua dentro dovrò mettere al sicuro qualsiasi oggetto che possa cadere appena apri quella dannata porta?» mi chiede.

Sorrido. «Può sempre togliere la porta se vuole».

Il capo sospira. «Prima cosa, sei in ritardo. Seconda cosa, il mio nome è Paul ma tu mi chiamerai solo capo. Terza cosa, James, il ragazzo tatuato accanto a me, ti darà delle cose da fare, e tu chiaramente le eseguirai. Ultima cosa, per caso sai disegnare?».

«Si, perché?».

«Se i tuoi disegni saranno decenti potresti disegnare tu i tatuaggi. Almeno in questi tre mesi».

Arriccio il naso. «Non disegno a comando. E poi dovrei stare ad ascoltare delle persone che mi dicono "vorrei un tatuaggio uguale a questo, ma senza questo angolo qui, vorrei aggiungere quello, vorrei mettere anche quell'altro...", ma no grazie» ribatto.

Paul mi fissa, serio in volto. «Avrai da ridire per ogni cosa?».

«Certo. E non può neanche licenziarmi, considerato che lavoro qua dentro per un motivo preciso».

Alza gli occhi al cielo. «Posso sempre denunciarti per vandalismo».

Sgrano gli occhi. «Cazzo! Le ho già detto che non può farlo! Io nemmeno l'ho toccato quel dannato quadro!».

Agita una mano in aria. «Come vuole. Ora a lavoro. E domani portami dei tuoi disegni» e se ne va dal negozio.

Mi giro verso il ragazzo tatuato. «Allora James, che si fa?».

«Tu potresti iniziare a non far cadere niente. E la prossima volta che vieni a lavoro, puoi evitare di scendere da un'auto in corsa? Non vorrei che la gente pensasse che qua lavorano dei pazzi. Dopo passano dei miei amici. Vai nell'ufficio del capo finché non se ne vanno. Non voglio essere associato a te. Sei imbarazzante» mi dice tutto ciò freddamente.

Ma che stronzo.

Quello che ha detto non mi ha ferito minimamente. Non mi conosce. E poi non mi faccio mettere i piedi in testa da nessuno.

Ghigno nella sua direzione. «Hai appena scritto la tua condanna a morte, James. Sarà divertente conoscere i tuoi amici». Lo guardo seriamente. «E parlami un'altra volta così, mancandomi di rispetto, e userò la tua testa come palla da bowling». Inarco un sopracciglio. «Capito?».

Vai Brianna. Fai vedere che hai le palle anche tu.

Mi fissa. «Sarà divertente farti arrivare al limite» ed entra in una delle stanze sul retro.

Questa è una guerra. E io ho intenzione di vincere.
Okay, drammaticità a parte, non mi faccio sottomettere da nessuno, men che meno da un ragazzo.

Mai andare dal tatuatore se la sfiga ti perseguitaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora