28. Merda, mi ha riconosciuta!

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«Cosa cuciniamo per pranzo?» mi chiede James, mentre si sdraia sul divano occupando tutto la spazio disponibile.

Alzo un sopracciglio, e lo guardo scettica, cercando di capire se scherza o meno.
È serissimo.
Parla davvero sul serio?
«Mi stai dicendo che tu vorresti cucinare di nuovo, dopo che abbiamo bruciato tutti i pancake finché non è finito l'impasto?» chiedo, confusa.

Mi guarda. «E cosa vorresti mangiare? Le sedie? E poi i pancake si sono bruciati perché, mentre li cucinavo, tu mi distraevi» ribatte.

Spalanco la bocca. «Ma te la spacco in testa, la sedia.» Incrocio le braccia al petto, offesa. «E poi non è vero che ti distraevo.»

«Sì che è vero.»

«No, invece.»

«Sì, invece.»

«No.»

«Sì.»

«E sentiamo genio, come avrei fatto a distrarti?» chiedo.

Lui gesticola. «Continuavi a ballare in quel modo ridicolo. Per un momento ho pensato che avessi preso una scossa.»

Lo guardo sconcertata. «Il mio modo di ballare non è ridicolo.» Gli punto un dito contro. «E poi potevi anche non guardarmi.»

Alza un sopracciglio. «Se non ti avessi guardata, quando sei inciampata avresti sbattuto la testa contro al tavolo perché io non avrei avuto i riflessi pronti per renderti in tempo come, invece, ho fatto, e a quest'ora saresti morta.»

Distolgo lo sguardo. «Resta il fatto che il mio modo di ballare non è ridicolo» borbotto.

Poi ritorno a guardarlo. «Comunque, il pranzo lo ordiniamo.»

James sospira. «Va bene. Chiamiamo il ristorante cinese?»

«No. Mio cugino ci ha fatti cacciare. Si sono segnati l'indirizzo perché così non "avrebbero perso tempo a venire". Loro testuali parole.»

James mi fissa scioccato. «Come...?»

«Rissa con il cameriere» lo interrompo.

Lui sospira. «Ti piace il sushi?»

«Siamo stati cacciati anche da lì.» Mi fissa in attesa che io continui. «Colpa di mia madre.»

Ci sono degli attimi di silenzio, in cui lui è pensieroso.

Eh, probabilmente sta valutando l'idea di scappare da qua senza sembrare scortese.

Il suo sguardo si illumina.

Sì, come Enel Energia illumina le case delle persone.

«Ci sono!» esclama. «Perché non andiamo a mangiare al ristorante italiano qua vicino?»

Non ci sei proprio per niente.

«Beh...» inizio a dire, e deve aver intuito qualcosa dal mio sguardo, dato che il suo sorriso si spegne piano piano.

Sospira. «Fammi indovinare, siete stati cacciati anche da lì?»

Mi gratto la nuca, imbarazzata, e sposto il peso del mio corpo da un piede all'altro.
«Hai presente quei vetri che dicono che non si rompono almeno che tu non becchi un punto preciso?»

Mai andare dal tatuatore se la sfiga ti perseguitaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora