12. Cosa mi succede?

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Quel giovedì pomeriggio i miei mi avevano addirittura impedito di andare al lavoro. Era davvero azzardato mandarmici, secondo la loro teoria. Evidentemente non dovevano più riconoscermi. In quei giorni mi sentivo strana, qualcosa dentro di me stava cambiando. Forse era la cognizione di vivere in una città dove gli adolescenti vengono uccisi su due piedi.

Tutto era cambiato. Le persone, i pensieri, la routine. Non avevo nemmeno più parlato con Lisa!

Avevo evitato di farmi vedere alla fine delle lezioni. Il mal di testa che mi aveva travolta subito dopo mi aveva convinta che non fosse il momento giusto per parlare di cose serie. Mia madre mi aveva preparato una camomilla per aiutarmi, e speravo che lo avrebbe fatto davvero. Mi ritrovavo a studiare senza capire quello che leggevo. I pensieri mi offuscavano così tanto la mente da non permettermi di fare altro.

Presi il cellulare dalla scrivania, meditando sul da fare. Forse avrei potuto chiamare Lisa, oppure dirle di venire. Sbuffai, rigirandomi il telefono fra le mani. Non volevo perdere completamente la sua fiducia. Ero consapevole che se non avessi parlato con lei e sentito cosa aveva da dirmi, si sarebbe allontanata ancora un po', fino a perderla del tutto.

Urlai terrorizzata quando il cellulare prese a vibrare fra le mie mani seguito dalla suoneria squillante. Mi rasserenai in un secondo, prima di guardare lo schermo. Era un numero che non avevo salvato e che, secondo la mia memoria visiva, non avevo mai visto.

Ci pensai un momento e poi risposi.

- Pronto? - dissi con voce sicura. Magari era qualcuno che aveva sbagliato.

- Ho nuove informazioni -. Il mio povero cuore perse un battito al suono di quella voce profonda e ormai familiare. Aiden Evans era diventato mio complice, l'unico che fosse disposto a scoprire chi era l'assassino insieme a me. - Ci... Ciao, Aiden - balbettai.

- Sto arrivando - disse prima di riattaccare. Scattai in piedi. Che significa "Sto arrivando"?!

Dov'era? Dove stava andando?

Mi guardai allo specchio, notando quanto fossi in disordine. Sciolsi i capelli e cercai di sistemare il correttore sciolto, prima di sentire bussare. Quel suono non proveniva dalla porta alla mia sinistra, bensì dalla finestra. Fissai la mia immagine allo specchio, terrorizzata. Avevo ancora il dito medio premuto sulla palpebra nel tentativo di sistemare il trucco sciolto.

Mi voltai lentamente verso la finestra, vedendo il volto imbronciato di Aiden. Persi un altro battito, poi la vocina dentro la mia testa mi consigliò di correre ad aprire. Mia madre era al piano inferiore, lui non poteva entrare lì.

Aprii la finestra, scostando le tendine. Si sporgeva verso la finestra dall'albero alla mia destra. Era pericolosamente in piedi su un ramo, con una mano aggrappata ad un altro e il resto del corpo inclinato verso di me. Arrampicarsi forse non era stato così difficile come pensavo, ma sicuramente lo sarebbe stato entrare, o non farsi scoprire da mia madre.

Sorrideva gagliardo nella mia direzione, soddisfatto di se stesso.

- Cosa stai facendo? - sbraitai arrabbiata, cercando di non urlare. Era pazzo. Allungò una gamba verso il davanzale e con uno slancio fu in piedi sul davanzale della mia finestra. La maglia grigio topo che indossava gli si era alzata, a causa delle braccia che teneva in alto attorno al telaio di legno, e lasciava intravedere una fetta di pelle di un colorito sano, delineata dalla zona V. Mi allontanai, prima di sbavare, e lui si accovacciò sulle gambe e scese giù.

- Mi spieghi cosa stai facendo? - ripetei, questa volta senza contenermi.

Mi lanciò un'occhiata truce, prima di sedersi sul mio letto. - Sembrava più carina dalla mia finestra - constatò, guardando le pareti. Sgranai gli occhi. - Sei venuto qui per criticare o per lavorare? - sbottai.

Come la peceWhere stories live. Discover now