39. Toga e tocco blu

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Infilzai un pezzo delle patate già tagliate che avevo nel piatto e me lo portai alla bocca, masticando lentamente prima di mandarlo giù. Mangiare quella sera richiedeva uno sforzo particolare, ma stavo tentando di non darlo a vedere.

Stavo progettando cosa dire ai miei genitori mentre ingoiavo la cena un pezzetto dopo l'altro.

- Come ti sembra il tacchino? - mi chiese mia madre.

- Buono. Hai usato la paprika? - mi finsi interessata, sperando di non sembrare nervosa.

- Sì, quella dolce -.

Continuai a mangiare in silenzio, controllando l'orologio affisso alla parete. Quando mi alzai per aiutare a sparecchiare erano le nove e mezzo. Posai i piatti in lavastoviglie e salii in camera.

Avevo assolutamente bisogno di cambiarmi. Presi i jeans, ma l'idea di mettere la mia pelle a contatto con quel tessuto stretto e uscire fuori con l'umidità della sera mi fece cambiare idea. Così recuperai una gonna di jeans e una t-shirt qualsiasi. Non mi importava di sembrare carina per quell'occasione. Avevo rinunciato al mascara, ma in compenso i miei capelli erano perfettamente in ordine, visto che avevo usato la piastra poche ore prima.

Mi guardai allo specchio, pensando a cosa avrei dovuto dirgli esattamente. Non mi veniva nulla di sensato da dire, nulla che non mi avrebbe fatto finire in carcere. Ma quello era il problema minore. Io avevo dannatamente paura della sua reazione. Ero certa che avrebbe cambiato opinione su di me, e io non volevo. La nostra storia era già andata abbastanza a rotoli perché lui non era chi diceva di essere, ma io non potevo comportarmi in quel modo.

Lanciai uno sguardo verso la sua finestra. La stanza era ancora al buio, ma decisi comunque di scendere le scale.

- Io sto uscendo, torno a casa presto - dissi entrando in cucina. Mia madre stava azionando la lavastoviglie, perciò dovetti aspettare che si girasse a guardarmi per avere una sua risposta.

- Esci con Aiden, vero? -.

Sembrava rassegnata. Non gli era mai piaciuto il nostro vicino, né a lei né a mio padre. Probabilmente i genitori sono dotati di quel sesto senso per cui captano certe cose prime dei figli quando li riguardano. In effetti, quello che mi era da sempre sembrato un bravo ragazzo, in quel momento non potevo più dire che lo conoscessi realmente.

Annuii. Sapevo dalla sua espressione che non me l'avrebbe impedito.

- Va bene, stai attenta. Lo dico io a tuo padre -.

Sorrisi, abbracciandola velocemente e correndo via prima di incrociare mio padre.

Quando mi chiusi la porta di casa alle spalle, cercai la macchina di Aiden davanti casa sua, ma non c'era ancora.

Percorsi il vialetto e raggiunsi il cancello della loro abitazione, per poi aprirlo e sedermi sul gradino più alto del loro portico. La luce era spenta, proprio perché non era ancora rientrato nessuno, e stare seduta al buio davanti una casa non mia era un po' inquietante. Presi il cellulare e mandai un messaggio a Bryan per ammazzare il tempo.

Che fai, bionda?

Ebbi giusto il tempo di leggere la sua risposta che avvertii in lontananza il rombo di un motore. Poco dopo la macchina nera di Aiden arrestò la sua corsa davanti casa. Mi misi in piedi vedendolo scendere e aspettai che mi raggiungesse. Mi tremavano le gambe e soprattutto le mani, per questo le tenevo strette attorno alle braccia. - Ehi - disse, spingendo il cancelletto per richiuderlo. C'era fin troppa tensione fra di noi. Sentivo nell'aria un paio di mani strette attorno al collo.

Restai a fissarlo in silenzio, fin quando non fu sul portico davanti a me e accese la luce della lanterna, senza staccarmi gli occhi di dosso. Se avessi potuto, gli sarei già saltata addosso. Nessuno poteva sapere quanto mi mancasse. Mi ero resa conto che la mia non era solo una cotta, ma a causa di forze maggiori, avrei dovuto rinunciare alle mie stesse emozioni.

Come la peceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora