15. Algebra e pancake

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Lisa era di nuovo assente, così come Bryan. Avevano deciso di saltare scuola per risparmiarsi l'ora di spagnolo e quella di matematica. Lisa non era migliorata chissà quanto e, se aggiungeva il fatto di saltare le lezioni, avrebbe sicuramente preso un debito.

Tirai fuori il quaderno a quadri e una penna. Ero arrivata presto e avevo trovato un posto in fondo all'aula. Non era il massimo per prendere appunti, ma era comunque il sogno di tutti gli studenti.

La classe non era ancora piena, quindi il professore se ne stava seduto ad organizzare il materiale. Qualcuno passò davanti la porta e alzò una mano, sventolandola. Sorrisi e ricambiai il saluto a Jennifer. Non passavano del tempo assieme da settimane ma non ero ancora riuscita a capire che idea mi fossi fatta di lei. Non avevo nemmeno avuto il tempo di parlarne con Dylan. E, onestamente, volevo sapere cosa se ne facesse di una copia di Orgoglio e pregiudizio. Sorrisi sotto i baffi, prima di accorgermi di star scarabocchiando cuoricini e stelline all'angolo del foglio.

Il banco alla mia destra venne occupato e alzai la testa in seguito a quel movimento. Davanti i miei occhi un profilo squadrato e tenebroso, con le sopracciglia sporgenti e il naso leggermente all'insù. Sorrisi, contemplando la lucentezza di quei ciuffi rossi sparati in ogni direzione. Si voltò verso di me e alzò un angolo della bocca. Una scia luminosa passò per i suoi occhi neri, donandogli una luce magica. Una fitta allo stomaco mi fece tremare. Fui come scossa da un fremito improvviso. Cercai di mettere un freno al mio cuore, ma fu peggio di prima.

***

- Wendy! - urlò qualcuno. Mi voltai verso destra, ma nessuno aveva gli occhi su di me. Tutti erano troppo occupati a salire in macchina o a correre via prima che iniziasse di nuovo a piovere. Era il classico clima di marzo. Un giorno si moriva dal caldo, l'altro pioveva a dirotto. Le gocce d'acqua cadevano delicatamente sulla mia testa, infiltrandosi nei capelli.

- Wendy! - sentii di nuovo urlare. Mi girai completamente su me stessa, scorgendo Dylan con un braccio alzato e l'altro attorno alla bretella dello zaino. Aspettai che mi raggiungesse, mentre la maggior parte degli studenti andava via.

- Vuoi un passaggio? -. Guardai il cielo pieno di nubi scure e la pioggia che picchiettava sulle auto nel parcheggio. - Sì, grazie -. Casa mia non distava molto ma avevo il terrore di arrivare fradicia e beccarmi un bel raffreddore.

Seguii Dylan fino al suo pick-up trasandato a testa bassa per proteggermi dalla pioggia battente. Alzai lo sguardo per assicurarmi di star andando nella giusta direzione, ma trasalii. Aiden era appoggiato al pick up di Dylan e ci guardava con tutta la tranquillità del mondo. - Ehi, sali! - gli urlò Dylan e, lanciate le chiavi, iniziò a correre. Aiden aprì il veicolo e aspettò che lo raggiungessi per salire. Credetti di star per avere un infarto. Non ero mai stata così agitata per qualcosa di improvviso, tranne quando si era arrampicato per raggiungere la mia finestra. Salii il più in fretta possibile per smorzare il tremolio delle mie gambe.

Mi ritrovai schiacciata tra le loro spalle muscolose e fui sicura di stare per diventare un peperone. Era il sogno di tutte, lo ammetto, ma era così imbarazzante da farmi desiderare di scendere e inzupparmi dalla testa ai piedi fino a casa. Non poteva prendere la macchina di suo padre anziché il pick-up per quel giorno? Rimpiangevo il momento in cui Aiden aveva picchiato Dylan. Erano imprevedibili i ragazzi.

Sentivo i capelli gonfiarsi per l'umidità e il trucco pasticciato, cosa che mi rendeva ancora più a disagio. Dovevo scendere immediatamente da quell'auto.

Quei due chiacchieravano tranquillamente e, ovviamente, Dylan stava scimmiottando il suo coach. Come facevano ad essere così tranquilli?

Come la peceWhere stories live. Discover now