25. Mc

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I miei occhi correvano su e giù nel modo più lento possibile. La mia vista era assetata di Aiden. Non facevo altro che studiare i lineamenti del suo viso perfetto, dalla fronte al mento, dal mento alla fronte.

Per una volta, forse, era così concentrato sugli esercizi di matematica da concedermi un po' di tempo in più per poter studiare ogni tratto, ogni espressione, ogni singolo centimetro di pelle.

Il mio cuore era diventato implacabile, ma quella sensazione mi piaceva perché, allo stesso tempo, contemplare il suo viso riusciva a rilassarmi e farmi dimenticare di tutto.

Posò la biro sul quaderno e si voltò verso di me, che non avevo nemmeno concluso il primo esercizio.

Mi ridestai dal mio mondo parallelo e tornai a guardarlo in maniera meno morbosa e molto più rilassata.

Ormai si era fatto buio e si stava avvicinando l'ora di cena. - I tuoi sono sempre tutto il giorno al lavoro? -.

- Sì, ma non mi pesa. Anzi... -.

- Io vedo mio padre solo a colazione e a cena, quindi ti capisco un po' -.

- Che lavoro fa tuo padre?  - mi chiese.

- Ha un'azienda vinicola. I tuoi? Deve essere un lavoro davvero importante per essersi trasferiti in un buco come West Chester -. Sorrisi gentile, sperando di non aver sopravvalutato il loro impiego. Avrei potuto mortificarlo se i suoi genitori fossero stati dei commessi o operai. Tali lavori non avevano nulla da invidiare agli altri, ovviamente, ma chi si trasferirebbe da un paesino in Connecticut in uno in Pennsylvania per fare il commesso?

- Lavorano in banca -.

Annuii con un piccolo sorriso.

La suoneria di un telefono ruppe quel momento. Aiden si sfilò il cellulare dalla tasca dei jeans e rispose.

- Pronto? -.

Mentre ascoltava cosa aveva da dirgli il suo interlocutore si dondolava sulla sedia girevole.

- Facciamo per otto e mezza? - attese qualche secondo e poi salutò, riattaccando.

Si voltò verso di me. - Era Dylan -.

- Siete diventati amici del cuore, eh? -.

Sorrise, mostrando i suoi denti bianchissimi.

- Andiamo a farci un giro - mi spiegò.

- Allora è meglio se vado a casa, così puoi sistemarti -.

- No, resta -.

Gli bastò meno di un secondo per rendersi conto di ciò che aveva detto. Il sangue gli risalì sugli zigomi pronunciati e dovetti sforzarmi per non sorridere.

- Nel senso che devo uscire tra un'ora, quindi puoi restare... -.

Eravamo insieme da ore -ore che mi erano sembrate secondi- ed era giunto il momento di tornare a casa.

- Credo che mia madre mi stia aspettando con un'ascia - dissi, alzandomi per andare via.

Sorrise.

Come la peceWhere stories live. Discover now