CAPITOLO OTTAVO - parte 2

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La casa di Tyler era un piccolo appartamento dall'aria sciatta nel quartiere più malfamato della città, e si trovava al quarto piano di un palazzone con la facciata bianca.
Rouge lo seguì sulla rampa di scale in silenzio, con la testa bassa; si sentiva così stupida e fragile adesso, ma allo stesso tempo era un enorme sollievo sapere che lui era lì e soprattutto che la avrebbe aiutata.
Quando l'uomo aprì la porta le fece cenno di entrare per prima, lei varcò la soglia con un punto d'indecisione. All'interno lo spazio era piccolo ed affollato di oggetti sparpagliati quà e là; era evidente che mancava la mano di una donna. Sul tavolo del piccolo salotto era posto un posacenere pieno di sigari fumati solo per metà, ed il banco della cucina ospitava pile di piatti sporchi.
-Devi scusarmi per il disordine- disse Tyler portandosi una mano dietro alla nuca -Vivo da solo e... La cura della casa non è proprio il mio forte-.
Rouge non rispose ma continuò a guardarsi intorno con curiosità. Credeva che Tyler avesse una moglie, ed invece pareva proprio di no.
-Siediti, ti porto qualcosa da bere?- chiese ancora.
Rouge scrollò il capo e si accomodò sul divano, poggiando i gomiti sulle ginocchia. Tyler si mise a sedere accanto a lei, pensando a cosa dire. La situazione era strana per entrambi, e nessuno dei due si sentiva esattamente a proprio agio.
Tyler, tuttavia, fece la domanda che avrebbe voluto fare già da un pezzo: -Che cosa succede?-. La sua voce era calma, ma lasciava trasalire un certo odio. Non nei confronti di Rouge, ovvio, ma in quelli di chiunque le stesse facendo del male, o glie ne avesse fatto in passato.
La ragazza si irrigidì senza alzare il capo. Non poteva più mentire adesso, era crollata davanti ai suoi occhi ed aveva accettato il suo aiuto.
Ma che avrebbe fatto il padrone se fosse venuto a sapere di quella storia?
Lui l'avrebbe di certo uccisa.
Scacciò via quei brutti pensieri e prese fiato, decisa a parlare. Non riuscì a dire quasi niente; tutto ciò che uscì dalla sua bocca tremante fu: -C'e...C'è un uomo che.... Che mi...Mi...-. Le parole le si soffocarono in gola. Non poteva più parlare. Non voleva. Aveva paura del padrone, paura di sbagliare, paura di essere felice.
Fin dall'età di undici anni il suo mondo era girato attorno al padrone, e seppur cruda e orrenda, la sua vita era stata soltanto questo.
Era proprio come un uccello, di quelli che nascono e crescono in gabbia: non sperando mai in niente di meglio, si consolano nella loro piccola e squallida esistenza; e nel momento in cui la porta della gabbia viene aperta per donare loro la liberà, ci si accorge che la temono. E così restano nella gabbia, immobili, a fissare la porta aperta.
Non c'è peggior prigione di quella costruita dalla nostra mente.

Rouge - Sangue e Ferro (IN REVISIONE)Where stories live. Discover now