4 - Ponente, 6 anni e 27 giorni fa (III)

8.6K 867 451
                                    

Agata scoppiò a ridere, una di quelle risate che non si spegnevano facilmente. Tseren la guardò confuso, senza capire il motivo di quell'ilarità improvvisa.

«Io vado a casa» precisò la ragazza. «Tu puoi andare dove vuoi».

«Io voglio venire con te» rispose lui con una sincerità spiazzante.

I due si guardarono a lungo negli occhi, la ragazza si sentiva persa in quello sguardo che aveva qualcosa di imperscrutabile. Il sole aveva cominciato a scendere sull'acqua e la luce del crepuscolo rendeva le iridi di lui ancora più inconsuete. Le schegge d'ambra si illuminavano nel blu cobalto come pietre preziose.

«Io... io non voglio» proferì infine lei in un sussurro. Cominciò a indietreggiare perché se gli fosse rimasta così vicina e avesse continuato a mantenere il contatto visivo, temeva che si sarebbe lasciata convincere.

Era come se ci fosse un elastico che la teneva legata al levantino, tanto che si sentiva in parte dispiaciuta che dovessero separarsi. Al tempo stesso cominciava però a essere spaventata; si trattava pur sempre di uno sconosciuto, un ragazzo di un'altra terra di cui sapeva poco o niente, se non quello che aveva letto nei libri. Un ragazzo che per di più raccontava storie inverosimili.

Tseren sembrò intravedere la paura che comparve per un attimo sul volto di Agata. «Non avevo alcuna intenzione di spaventarti. Mi dispiace, vai pure».

Lei non se lo fece ripetere due volte, si voltò e a passo veloce si allontanò dal lungomare. Mentre schizzava tra i vicoli angusti, sentiva il cuore battere all'impazzata, per via dello spavento e perché stava quasi correndo. In un tempo record raggiunse il dormitorio dell'università e una volta dentro si chiuse con violenza la porta alle spalle. Le compagne di camerata stavano già cenando e sobbalzarono per lo schianto improvviso. Sette paia d'occhi fissarono Agata perplessi; l'amica era di solito estremamente posata.

«Ags?» Holly Dee le fece cenno di sedersi a tavola. «Non dovevi fare shopping?» aggiunse accennando al fatto che non avesse alcun sacchetto in mano. Agata si passò una mano sulla fronte: aveva lasciato la busta con il vestito nuovo chissà dove. Si era separata da Tseren talmente in fretta che non aveva controllato di aver preso tutto.

«Ho comprato delle cose, ma le ho perse...» rispose Agata sedendosi a tavola con le altre.

«Da quando in qua anche tu perdi le cose?» la schernì Anika, una ragazza dalla frangetta castana.

Ignorando la provocazione, Agata si servì un piatto di spezzatino in brodo e aspettò che la conversazione riprendesse da dove si era interrotta. Stavano discutendo della festa di fine anno, tanto per cambiare. Non partecipava molto alle discussioni quando parlavano di eventi o di ragazzi, quindi nessuno si stupì che quella sera fosse più silenziosa del solito.

Decise di andare a dormire presto; erano solo le dieci e si infilò sotto le coperte per riflettere in tutta tranquillità su cosa le fosse capitato quel giorno. Alcune delle ragazze erano uscite, altre sedevano al tavolone e giocavano a carte a lume di candela.

Chi era il misterioso ragazzo con cui aveva trascorso il pomeriggio? Un levantino della zona montuosa, che per qualche motivo non voleva dire la verità su come avesse attraversato le montagne. Uno straniero senza un soldo, che per un mese aveva elemosinato da mangiare o cacciato animali... Lei non avrebbe neanche saputo da dove cominciare se avesse dovuto cacciare un coniglio.

Agata si tirò su e cercò sotto il letto uno dei libri che aveva comprato per approfondire l'esame di Geografia di Levante, un saggio dal titolo "Luoghi dove la civiltà moderna non è ancora arrivata". Non le piaceva il titolo arrogante, né il tono dell'autore che descriveva tutto ciò che non rispecchiava il modo di vivere tipico delle grandi città come arretrato. Nonostante ciò, aveva deciso di leggerlo perché era uno dei pochi testi mai pubblicati che approfondisse lo stile di vita di alcune zone rurali di Ponente e Levante.

Una di queste era la regione montuosa nei pressi del monte Ariun, un territorio isolato e impervio abitato da una popolazione semi-nomade. Sfogliò le pagine dedicate ai levantini delle montagne e si soffermò sulle fotografie: le immagini erano sbiadite, ma gli uomini indossavano un costume tradizionale molto simile agli abiti di Tseren. Agata era quasi certa che l'enigmatico levantino arrivasse proprio da lì, non solo per la somiglianza di vestiario, ma soprattutto per i modi. Il ragazzo sembrava come frastornato da tutto ciò che aveva intorno; non padroneggiava inoltre le principali convenzioni sociali, che valevano tanto a Levante quanto a Ponente.

La ragazza rilesse quelle pagine con attenzione, incuriosita da quel mondo fatto di paesaggi aridi chiazzati di oasi lussureggianti, montagne appuntite e pendii scoscesi su cui si affacciavano grotte e terrazze verdi. La gente abitava in tende circolari e allevava una specie di cervide color avana. La ponentina si soffermò sul capitolo che descriveva il ruolo degli sciamani, figure a metà strada tra curatori e santoni.

«Aghi, ma ancora studi? Guarda che gli esami sono finiti!» Era stata Isaba a parlare.

Agata si stupì che l'altra fosse in casa, ma poi vide che era avvolta in uno scialle, forse non stava bene. Isaba era la compagna di camerata con cui andava meno d'accordo; figlia di uno dei mercanti più influenti della zona costiera di Ponente, era abbastanza sveglia da passare gli esami studiando il minimo indispensabile e dedicava tutto il suo tempo a scialacquare i soldi dei genitori organizzando festini con i ragazzi più ricchi della scuola. Lei e Holly Dee andavano piuttosto d'accordo, dal momento che erano entrambe nel Comitato Eventi, quindi Agata era in un certo senso costretta a frequentarla, di tanto in tanto.

Isa starnutì sonoramente e si alzò per prendere un fazzoletto. La cascata di capelli corvini, ordinati e luminosi come sempre, le scivolò lungo la schiena arcuata e, passando davanti al letto di Agata, la ragazza le soffiò un bacio.

«Scherzo Aghi, ci piaci così come sei!»

Agata non aveva la forza di controbattere in modo pungente quella sera.

«Buona notte, ragazze» sbuffò e, chiuso il libro, si infilò nuovamente sotto le coperte.

Le immagini di quel pomeriggio le scorrevano martellanti davanti agli occhi. Proprio nel momento in cui stava per addormentarsi, l'attimo esatto in cui stava per perdere il contatto con la propria coscienza, le tornò in mente una delle prime cose che Tseren le aveva detto.

"Ti ho trovata". Sì, era certa avesse detto proprio così. "Ti ho trovata" e poi qualcos'altro. Ma cosa? E il sonno infine sopraggiunse.

L'ultimo dei Draghi [completata]Where stories live. Discover now