49 - Levante, 5 anni e 192 giorni fa (I)

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Quella sera l'odore degli animali era più pungente del solito. I cervidi erano particolarmente irrequieti e il loro belato insopportabile. Il giovane Ascendente si rotolò nella paglia che era da mesi il suo giaciglio. Attraverso l'unica finestrella dello stanzino poteva osservare il grosso spicchio di luna nel cielo, e come ogni volta che vedeva la luna si soffermò a pensare a lei.

C'erano tante cose che lo torturavano: la puzza e i lamenti degli animali, la paglia che gli si infilava sotto i vestiti, il bavaglio che ogni notte si inzuppava di saliva, le visite crudeli del carceriere; ma quello che in assoluto lo mandava fuori di testa era il non poter vedere Baya. L'ultima volta che si erano parlati era stato il giorno delle nozze. Aveva fatto di tutto per mandare all'aria quell'unione abominevole e proprio per quel motivo Daishir lo aveva rinchiuso nel capanno dei cervidi.

Sarebbe dovuta essere una prigionia temporanea e invece da lì non era più uscito. Quel verme di Tumur aveva convinto la famiglia di Baya e i Draghi loro vicini che l'Ascendente della neo-moglie aveva perso il lume della ragione e sarebbe potuto fuggire da un momento all'altro, condannando il suo Drago a perdere il controllo di se stessa. Ovviamente in molti avevano cercato di prendere le sue parti, ma la scena che aveva messo in piedi il giorno del matrimonio di Baya non giocava a suo favore.

Con il passare dei giorni poi, in molti si erano allontanati da Daishir perché non condividevano le sue scelte; questi per lo meno erano i pettegolezzi che aveva udito dal suo carceriere, un uomo fin troppo fedele alla famiglia di mercanti. I litigi erano ormai all'ordine del giorno nel villaggio dei Draghi e le sorti di un giovane Ascendente innamorato stavano a cuore sempre di meno alle persone che aveva frequentato per quindici anni.

E a Baya.

Quello che lo torturava era non poter parlare con Baya. L'aveva sentita piangere spesso di fronte alla porta serrata della sua cella, ma le visite erano brevi e la giovane donna Drago veniva trascinata via da Tumur o da uno dei suoi scagnozzi. Perché non si liberava da quella prigionia? Era molto più forte del marito, soprattutto nella settimana in cui poteva mutare.

La luna si spense e il giovane Xhoán si ritrovò sempre nella sua cella, ma questa volta con i polsi legati, le braccia sollevate e i gomiti costretti verso l'esterno. Tutte le volte che Tumur veniva a fargli visita, lo faceva prima legare. Lo teneva qualche ora in quella posizione insopportabile e poi compariva nello stanzino, quando ormai l'Ascendente era stremato per il dolore.

Gli occhi nocciola del ragazzo imprigionato fissarono con odio quelli quasi neri dell'uomo che aveva rovinato la sua vita. Tumur aveva stampato sul volto un ghigno più largo del solito e continuava a sistemarsi i capelli a caschetto dietro le orecchie, in quello che era a tutti gli effetti un tic nervoso.

«Vuoi sapere perché non viene più a trovarti? Neanche di nascosto?» Tumur si passò la lingua sui baffi incolti, pregustando la notizia che stava per condividere con l'Ascendente.

Xhoán non voleva sapere, se anche il bavaglio lurido non gli avesse impedito di parlare, non avrebbe comunque risposto a quella provocazione.

«Ora che porta in grembo mio figlio, mi guarda con occhi diversi, Ascendente. Ogni notte diventiamo più intimi. Non mi supplica neanche più di liberarti» rise con cattiveria il figlio del mercante.

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Lo sciamano eremita urlò nell'oscurità, era completamente sudato e ripercorrere in quell'incubo uno dei momenti peggiori della sua vita aveva mandato il cuore in tachicardia. Sentì che le guance erano in fiamme e allungò il braccio per trangugiare la bevanda medicinale che teneva a portata di mano. Quasi istantaneamente si riaddormentò e si ritrovò di nuovo prigioniero nel capanno degli animali.

L'ultimo dei Draghi [completata]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora