• 33 - Non cercarmi più.

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Una settimana dopo...

"Vorrei quelle rose.", dice la vecchietta indicando un vaso infondo al negozio.
"Quelle?", sospiro, esasperata, passando una mano sulla mia fronte grondante di sudore.

"No! Quelle fucsia!",

"Signora Patterson non abbiamo rose fucsia, è sicura di stare bene?",

"Ma sei scema? Non le vedi? Eccole!",

Le rivolgo un'occhiataccia prima di avvicinarmi al vaso da lei indicato.
Peccato che non contenga rose, ma delle viole.

Che a quanto pare ha scambiato per rose fucsia.

"Sì quelle! Vedi che quando ti applichi riesci a capirmi? Quanto costano?",

"Tre dollari.",

"Va bene, cara, grazie mille.", mi porge i soldi e li metto nella cassa quindi gli porgo un sacchetto e mi regala un sorriso adorabile prima di andarsene.

Credo che abbia problemi sia di vista che di daltonismo.
Ed è anche un po' scorbutica, ma nel complesso è una signora adorabile.

"Stephanie, il negozio chiude tra dieci minuti. Se vuoi, puoi andare.", mi volto al suono della voce profonda del padre di Ryan e lo osservo mentre sradica alcuni fiori e li pianta nel vaso.
Ryan è identico a suo padre, potrei quasi dire che suo padre sia la sua versione da vecchio. Nonostante l'età è un bell'uomo, tipo quegli uomini che al posto di invecchiare diventano ancora più belli.

"Davvero?", domando togliendomi i guanti.
"Assolutamente, hai lavorato tanto oggi, ora torna a casa e riposati.", mi rivolge un sorriso bianchissimo che va in contrasto con la sua pelle leggermente abbrustolita dal sole e sorrido anch'io mentre prendo la mia borsa ed esco dal negozio salutando John.

Da quando lavoro qui le mie giornate vanno meglio, di certo la paga non è come quella di prima ma non m'interessa. Non esiste somma per il buon umore che emana quel negozio di fiori, e non m'interessa se devo farmi un bel pezzo a piedi e non indosserò più tacchi e gonna per comodità, io sto bene ed è questo quello che conta.

Durante il tragitto intravedo il palazzo dei Ford ergersi tra gli altri grattacieli di New York e ci passo davanti col cuore che tentenna leggermente.

Perché, si, mi fa male. Male da morire sapere che non è sempre con me, che è stato così facile per lui pugnalarmi alle spalle. È stato un colpo sotto la cinta, dove è nascosto il punto più debole di me e ha fatto malissimo.

Sospiro accelerando il passo sperando di non incrociare Victoria o Richard, e cerco di camuffarmi tra la gente mentre passo davanti all'ampia scalinata, ma la fortuna non sembra essere dalla mia parte.

Richard è seduto sul davanzale posto davanti alla siepe di lato all'entrata e fuma una sigaretta con lo sguardo perso. Ha i capelli più spettinati del solito ed un'aria leggermente trasandata.

Il mio cuore compie un balzo reclamando attenzione ma il mio cervello gli intima di stare zitto e muove le mie gambe facendomi camminare velocemente.

E così faccio.
Muovo le gambe velocemente ma per sbaglio vado a sbattere violentemente contro una povera signora di passaggio.

"Oh, Dio, scusi!", squittisco preoccupata avvicinandomi a lei.

"Non si preoccupi.", mi rivolge un sorriso prima di darmi le spalle ed andarsene.
Poi mi ricordo di dove mi trovo e sono certa di aver attirato la sua attenzione.
Merda.
Corri, Stephanie. Più veloce che puoi, metti il turbo.

"Stephanie!", trasalisco all'udire la sua voce e scatto in avanti per attraversare la strada ma la mia borsa s'impiglia vicino al paletto del cestino strattonandomi all'indietro ed impreco.

Dannazione. Fottuto cestino, fottuta vita, fottuta sfiga di merda che mi sta appresso da quando sono nata.
Fanculo.

Ritento di nuovo di andarmene ma una mano afferra il mio polso e sono costretta a voltarmi incontrando due pozze azzurre.

È passata solo una settimana ma mi è mancato dannatamente tanto vedere questi occhi.
Ma è meglio abituarsi, perché non ho intenzione di stargli vicina.

"Voglio parlarti. Non mi hai dato modo di spiegarti come stanno le cose.", dice cercando i miei occhi, ma evito di guardarlo. Strattono il mio polso dalla sua presa e un moto di rabbia inizia a salire piano piano dentro di me.
"Forse perché non m'interessa come stanno messe e ho già visto tutto. Richard non c'è niente da spiegare, non capisci?",

E mi viene di nuovo voglia di piangere.
Dannazione. Perché non riesco a discutere senza il magone?

"Invece sì. Per prima cosa voglio riassumerti perché so che non è colpa tua.",

Scoppio in una risata sarcastica, "Adesso lo hai capito? Dove cazzo eri quando tuo padre mi accusava? Tieniti il posto perché non lo voglio, Richard.",

Nei suoi occhi si stende un velo di tristezza, ma non mi lascio incantare.
Non più.
"Invece tu tornerai. Perché io voglio una vita dignitosa per le mie figlie.",

"Adesso ti viene in mente che hai delle figlie?",

"E mi manchi.",

Sono sicura di aver sentito qualcosa saltare nel mio petto.

Rimango pietrificata, a bocca spalancata,il mio stomaco si riempie della solita sensazione, ma la rabbia prevale.
"Non è vero.",

"Invece sì. Ascolta, io-",

"Richard!", urla una voce squillante.
Entrambi ci voltiamo verso la scalinata, dove scopro a mia sorpresa Victoria.
Indossa una camicia scollatissima ed una gonna quasi inguinale, oserei dire.
Ma dico, vai a lavoro oppure sui bordi delle autostrade?
I suoi soliti capelli mori acconciati nel solito caschetto e la solita faccia che vorrei riempire di schiaffi.

Non ne sono sicura, ma sento che è stata lei a far sparire i brevetti.
Quant'è vero che mi chiamo Stephanie Roberts, io lo devo scoprire.

Non appena mi vede allarga il suo sorriso, e alza un braccio invitando Richard a raggiungerla.
Quest'ultimo si volta verso di me sospirando e schiude le labbra con un espressione da cane bastonato in faccia, ma lo fermo.

"Va' da lei, Richard. E, ti prego, non cercarmi.",

E non gli do il tempo di rispondere.
Mi volto col cuore dolente e mi affretto ad andarmene lasciandomelo alle spalle con le braccia lungo i fianchi e il volto affranto.

Mi fa male vederti così,
affranto, triste e amareggiato,
e vorrei correre tra le tue braccia facendoti capire che di te m'importa e che non voglio farti stare male ma
prima di farmi del male tu non ci hai pensato due volte.
E neanche io lo farò.

Per un Manhattan di troppoWhere stories live. Discover now