• 38 - Io e te, il sole e la luna.

22.9K 956 21
                                    

Ormai è buio, la sera è calata sull'intera città e per i corridoi dell'ospedale non gira anima viva se non qualche infermiera di servizio che si occupa delle persone più anziane.

Io invece non riesco a dormire.

Me ne sto poggiata allo schienale del letto, le braccia incrociate e lo sguardo perso altrove.
Indosso il mio pigiama, per fortuna. Ho chiesto a mia madre di prendermelo e di portarmi un paio di asciugamani. Anche di badare alle mie bambine e di rassicurarle.

Tenere quella veste addosso mi faceva rabbrividire. Mi faceva sentire sporca, inutile e debole.
Debole come quando ho visto mio padre gettato su un letto d'ospedale, senza vita, coperto solo da una misera vestaglia e il volto senza un pizzico di colorito, tutt'altro rispetto a come lo vedevo sempre.

Allegro, disponibile, serio quando serviva, ma non riusciva a tenermi il broncio per più di qualche minuto.
E quando è morto mi è caduto il mondo addosso.
Siccome era malato di leucemia, penserete che io ormai mi fossi arresa all'idea che prima o poi se ne sarebbe dovuto andare, ma la verità è che non ho mai smesso di sperare per un singolo secondo che guarisse.

Lo vedevo ogni giorno stare sempre più male, fino al punto in cui non riuscì più a camminare.
Lui che saltava anche dall'altalena nonostante l'età, aveva smesso di camminare.

Bizzarra la vita, eh?

Un secondo prima hai tutto, quello dopo niente.

Mi ricordo come se fosse ieri, quel giorno.
Stavo tornando da scuola, felice. Tenevo tra le mani un disegno per lui, ero così fiera di averlo fatto, non vedevo l'ora di darglielo.

Ma quando ho aperto la porta di casa e ho visto mia madre riversa in un fiume di lacrime ho capito tutto all'istante.
Mi sono fiondata nella sua stanza, con le lacrime che già affioravano e ho afferrato il suo braccio iniziando a scuoterlo e ad urlare il suo nome.

"Papà!", urlo cercando di svegliarlo ma niente.

Arrivai addirittura a pizzicargli il volto, il mio era deturpato dalla disperazione mentre perdevo il senso della ragione.
Non riuscivo ad accettare che se ne fosse andato senza salutarmi.

Dopo il funerale mi chiusi in camera.
Passarono due settimane, non andai a scuola, non toccai cibo, non fiatai,  ma ogni qual volta mi chiudessi in camera scoppiavo in un pianto isterico e in preda a crisi di rabbia strappavo foto degli album attribuendogli la colpa per essersene andato via.

"È tutta colpa tua! Ti odio!",

E dopo l'ennesima crisi di pianto e di rabbia svenni; sia per l'emozione troppo forte, sia perché non mangiavo ed il mio organismo non era in grado di sopportare tutto quello.
Ritornai a scuola, ma stetti sempre da sola. In un angolino, spesso a piangere o a disegnare, oppure ad imbottirmi di pasticche per l'ansia, finché non ho incontrato Sarah.

E non scorderò mai quel giorno.

"Cosa sono?", domanda la nuova arrivata prendendo tra le mani il mio tubetto di medicine.
Le strappo via l'oggetto dalle mani e la fulmino con lo sguardo.

"Fatti i cazzi tuoi.",

"Non si dicono le parolacce.", borbotta incrociando le sue braccia al petto.

"Parlo come mi pare.",

"Cosa sono?", chiede di nuovo.

Sono riuscita ad elaborare il lutto solo dopo due anni, ma da allora non ho messo più piede in ospedale, e la morte di Sarah mi ha distrutta ulteriormente.
È stato come se l'ultimo pezzo intatto del mio cuore si fosse spezzato, e come se non avessi più nessun motivo per vivere.

L'unica mia distrazione furono le mie bambine, occupavano tutte le mie giornate, ma ancora adesso quando vedo una sua foto sto male.
Il tutto perché questo lutto non l'ho elaborato. Io l'ho evitato. L'ho scansato, sono fuggita dal volerlo accettare pensando solo ed esclusivamente alle mie figlie fino a ridurmi la sera ad un corpo senza vita e a crollare sul cuscino del mio letto.

Ma questa non è vita.
Non lo è mai stata.

E ancora mi domando come io abbia fatto.
Senza di lei.
Colei che mi ha aiutata a superare la morte di mio padre, il mio pilastro portante, se n'è andata.
E chi è stato a farmi elaborare il suo lutto? Nessuno.

Io ancora non me ne capacito, in verità.
Com'è possibile che giusto mezz'ora prima era con me, e quella dopo era distesa su un lettino di ospedale esanime?
Il suo viso pieno di vitalità era ridotto ad un volto inespressivo privo di calore coperto da un enorme bruciatura che le deturpava più della metà del viso.
I capelli biondi raggianti come il sole ridotti ad una massa informe spenta, perfino con qualche grumo di sangue sparso per la chioma.

Quell'incidente la ridusse malissimo.
Così male che morì sul colpo.
La trovarono sull'autostrada in mezzo ai rottami dell'auto in fiamme senza un braccio, che successivamente le cucirono al corpo.
Ricordo ancora le urla di sua madre quando entrò nella sala mortuaria e la vide in quelle condizioni.
Iniziò a tirarsi i capelli, a graffiarsi il suo bel volto con le sue stesse mani.

Io invece me ne stavo in piedi.
A fissarla.
Non dissi nulla, le lacrime bastavano a parlare per me.
Ricordo soltanto che le misi il nostro bracciale dell'amicizia, l'aveva dimenticato a casa mia.

Il suo aveva il ciondolo della luna, il mio quello del sole.
Ce lo eravamo scambiati, perché per me lei era stata il mio sole. Aveva rischiarato le mie giornate con i suoi modi di fare da bambina viziata ed insistente.

Un sorriso spontaneo nasce sul mio volto al solo pensiero, ma un enorme punto interrogativo appare improvvisamente nella mia mente.

Se erano fratelli, perché quando sono andata a casa sua non ho mai visto Richard?  E perché non ha mai nominato nessun fratello?

Me lo ricordo come se fosse ieri.

"Hai fratelli o sorelle?", chiedo lasciando pendolare le mie gambe dall'altalena.

"No. Non ho nessuno.", risponde con una punta di fastidio.

Da allora non ho più toccato quell'argomento quando ho capito che probabilmente le dava fastidio parlarne.

Le mie labbra abbandonano un sospiro e mi sporgo verso l'interruttore delle luci per spegnere la mia, quindi appoggio il capo al cuscino e provo nuovamente a dormire.

E stavolta ci riesco.

Per un Manhattan di troppoWhere stories live. Discover now