Capitolo 12 ― Rabbia ed impulsi.

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La giornata trascorse rapidamente, per Megan. Tra le normali mansioni da svolgere, non aveva avuto occasione di incontrare Andrew che, a detta di Hanna, aveva lasciato la casa subito dopo pranzo per far visita ad alcune vecchie conoscenze.
Così, le ore successive sembravano essere volate e la conversazione con Philip Turner, grazie al duro lavoro che aveva svolto con le altre serve in cucina, era diventata solo uno sbiadito quanto spiacevole ricordo.
Adesso, mentre riordinava il tavolo smussato con Hanna, Ginny e Lexie ― due serve della sua età che aveva conosciuto solo poche ore prima ― Megan ebbe occasione di provare del calore verso altri individui.
― Da dove vieni, Megan? ― le domandò Ginny, capelli biondi raccolti in una crocchia disordinata sulla sommità del capo e un paio di occhi color nocciola.
― Hanna ci ha detto che il conte ti ha quasi... travolta, e che per questo, dopo averti soccorsa, ha deciso di portarti qui. Dico bene? ―
Megan mise le scodelle nel lavello, rivolse uno sguardo ad Hanna, che stava spazzando a terra, e poi andò a sedersi accanto a Ginny e Lexie davanti ai carboni quasi spenti del fuoco, che diffondevano un lieto calore all'interno della stanza.
― Sì, è andata esattamente così.―
― Ma che cosa ci facevi a quell'ora della sera in mezzo alla strada? La brutta gente gira proprio in quelle ore. Per di più, ieri c'è stato un forte temporale, ti sarai bagnata tutta... ― disse Lexie, con un'espressione preoccupata. ― Spero non ti sia presa un malanno. ― 
Megan fissò gli occhi scuri della ragazza e sorrise, scuotendo la testa.
― No, per fortuna no. Mi sento piuttosto bene, anzi. Sono contenta di essermene andata di lì. ―
― Te ne sei andata da dove? Sei scappata?―
La voce di Lexie salì di tono, forse animata da una certa eccitazione.
― Dove vivevi, Megan?― aggiunse Ginny, sporgendosi col busto verso di lei.
Hanna appoggiò la scopa all'angolo della stanza e raggiunse, la schiena leggermente ingobbita, le tre ragazze, prendendo posto su uno sgabello dietro di loro.
― Forse sarebbe meglio non assillarla troppo con tutte queste domande, ragazze ― sorrise, allungando un braccio e accarezzando dolcemente la guancia di Megan.
― Credo di aver capito che Megan non abbia trascorso una bella vita, fino a ieri.―
Quando Megan abbassò il capo con un sospiro, continuò.  ― Perciò è molto meglio cambiare discorso. Ginny, raccontale della tua storia con Peter, magari! ―
Lo sguardo di Ginny s'illuminò, mentre un'animata allegria prendeva possesso delle sue parole.
Megan l'ascoltò con piacere, dimenticando completamente il sorriso affilato di Philip Turner e cercando di accantonare la sensazione strana alla bocca dello stomaco che aveva provato quando lui l'aveva guardata per la prima volta.
Ginny raccontò di come avesse instaurato un profondo rapporto d'amicizia con Peter, lo stalliere di soli due anni più adulto, e di come quell'amicizia, col passare del tempo, si fosse trasformata in un sentimento più dolce e profondo. Ora stavano per sposarsi, e Ginny non poteva esserne più entusiasta.
Quella situazione le riportò immediatamente alla mente il ricordo di Jasper, dell'affetto che li aveva uniti e che ora era inspiegabilmente scomparso. Almeno da parte sua. Lei avrebbe dato qualunque cosa pur di rivederlo, anche solo un'ultima volta. Per chiedergli spiegazioni, magari, per sapere perché era sparito senza dire una parola, e perché non aveva mai chiesto di lei da quando Victor le aveva sottratto la verginità.
Megan venne a conoscenza anche del fatto che Hanna fosse la madre di Ginny e che Lexie, invece, aveva perduto entrambi i genitori, stroncati da una febbre violenta.
Quando Lexie lo raccontò, Megan intravide un velo di lacrime appannarle lo sguardo, perciò allungò una mano e strinse delicatamente la sua.
― So che cosa hai provato, Lexie ― sussurrò debolmente, ― anch'io ho perso i miei genitori, tanto tempo fa. Mi dispiace tanto. ―
Lexie si passò il dorso dell'altra mano sul viso per asciugarsi le lacrime. Inspirò profondamente.
― Avevo davvero un bel rapporto con i miei genitori. Soprattutto con mio padre. Mi portava sempre sulle spalle quando ero bambina, ma poi non ce l'ha fatta più, quando il suo trasportare quintali di legna gli ha impedito di compiere anche i più piccoli movimenti. Mia madre invece era una donna meravigliosa. Diceva sempre che, anche se eravamo solo una famiglia di servi e quindi destinata a piegare la testa per il resto della vita, avevamo qualcosa che molto spesso, alle grandi famiglie aristocratiche, manca: l'amore. ― 
Fece una pausa, tirando su con il naso.
― Mi mancano davvero tanto.
Megan chiuse gli occhi, cedendo al ricordo di sua madre, delle carezze che le mancavano al punto da farle desiderare di essere morta insieme a lei. Le mancava ogni cosa: i suoi occhi dello stesso color giada dei propri, la dolcezza dello sguardo e dei gesti, le conversazioni che riusciva a sostenere con una semplice occhiata, il colore dei suoi capelli, scuri quanto quelli della figlia. Si erano assomigliate in tutto, tranne per il fatto che Megan non era muta come sua madre.
Riaprì gli occhi solo quando si fu assicurata che nessuna lacrima avrebbe potuto tradire la tempesta che la stava sconvolgendo internamente.
Lexie fissava le ceneri del fuoco, Ginny si torturava le unghie senza dire una parola, Hanna le aveva appoggiato una mano sulla spalla esile.
―Che ne dite di riposare un po'? ― propose Hanna, spezzando il silenzio che si era venuto a creare.
―Immagino sarete stanche quanto me. ―
Ginny annuì, Lexie sbatté le palpebre.
Megan rimase a fissare il profilo della ragazza fino a quando Hanna non ripeté quello che aveva detto solo pochi istanti prima.
Annuì anche lei, poi si alzò ― non riuscendo a trattenere un gemito ― e attese che anche le altre la imitassero.
―Dormirai insieme a Lexie, Megan. Io e Ginny occupiamo già una branda ― disse Hanna, gentilmente.
―E nell'altra ci sono gli uomini, quindi non è il caso che ci entri. ―
―No ― confermò Megan. ―Decisamente no.

Andrew Turner smontò da cavallo e si diresse all'entrata del bordello, ancor prima di capire che era la rabbia ad animare ogni suo movimento.
Spalancò il portone, quando il proprietario andò ad aprire, lo spinse di lato con una spallata e si immerse nella fiumana di uomini che si stavano facendo sedurre dalle prostitute. Sorpassando tavolini cosparsi di bicchieri di vino e liquori, e accecato da un senso di rabbia non indifferente, Andrew attraversò a grandi falcate il pavimento di legno del locale fino a quando non raggiunse l'oggetto della sua ira.
Philip sedeva su di una sedia dai finimenti elaborati, con in grembo una ragazzina dal seno prosperoso e quasi completamente scoperto, il corsetto slacciato sul davanti e l'espressione languida, al pari di quella di lui.
Con un gesto brusco, appoggiò la mano sulla spalla nuda della ragazza, sotto lo sguardo attonito degli altri presenti, e la scansò dalle gambe del fratello.

―Che diavolo ti prende? ― sbottò Philip, guardandolo con espressione truce, mentre lei, imbarazzata, si allontanava dal tavolo.
―Sei impazzito?―
―Che diavolo salta in mente a te, Philip ― sibilò Andrew, battendo un pugno sulla superficie.
―Ma di che parli?―
―Ho visto Megan uscire dal tuo, dal nostro studio, stamattina. Era talmente terrorizzata che avrei voluto spaccarti la faccia. Che cosa diavolo le hai detto per farla reagire in quel modo? ―
―Oh ― Philip scosse la testa, cominciando a ridere. ―Quindi era questo il problema!―
Andrew affilò lo sguardo.
―Philip ― lo ammonì, in tono deciso sporgendosi verso il volto del fratello.
―Che cosa le hai detto.―
―Niente che non dovesse aspettarsi lei stessa, Andrew.―
Philip si riallacciò la cintura dei pantaloni, e si abbottonò la camicia.
La sua espressione era talmente sardonica che Andrew avrebbe voluto prenderlo a pugni in faccia fino a fargli cambiare aspetto.
―Le ho detto, caro fratello, che il suo posto è in cucina, nelle stalle, al mio comando. Al nostro― si corresse, accavallando le gambe.
―Le ho detto che non deve farsi troppe aspettative su di te, le ho raccontato del tuo passato con... Come si chiamava? Elizabeth!
La tua amante, la tua sensuale e bellissima amante, Elizabeth! ―
Le mani di Andrew agirono come di volontà propria. Afferrarono il colletto della camicia di Philip e strinsero, tirando fino a quando il fratello non fu costretto a sollevarsi dalla sedia.
Andrew assottigliò lo sguardo al punto che avrebbe potuto incenerirlo lì, sul posto, e non se ne sarebbe pentito. Le labbra serrate in una linea dura, sibilò fra i denti: ―Se provi anche solo a nominare il suo nome un'altra volta con quel tono, giuro su nostra madre che non vedrai più la luce del sole. Mi hai sentito, Philip? Mi hai sentito? ―
Philip ansimava visivamente, eppure le parole del fratello non valsero a placare il suo divertimento.
―Andrew ― sussurrò fissandolo intensamente negli occhi. ―Era solo una puttana. Niente di più. E lo sai anche tu. Adesso, se vuoi uccidermi, fallo pure. Uccidimi, perché ho detto la pura e semplice verità. ―
Prima che Andrew potesse lanciarlo sul pavimento con un pugno, aggiunse: ―Uccidimi, perché mi sono fatto dei pensieri su quella serva che guardi come se fossi avido di cibo. ―
Lo sguardo di Andrew si indurì. Il cuore cominciò a palpitare veloce nel suo petto. Le dita strinsero quella camicia con più veemenza di quanto si fosse aspettato, mentre il viso di Megan affiorava nella sua mente come la quiete dopo la tempesta. Gli bastò immaginarla, perché l'amarezza e l'inquietudine svanissero.
―Non osare sfiorarla, Philip ― tuonò, lasciando andare la presa sulla camicia del fratello. ―O giuro che te ne pentirai.―
― E perché mai, fratello? ― sorrise Philip, riaggiustandosi il colletto con movimenti calmi e pacati.
―È solo una serva, non serve che te lo ricordi, no? Sai bene che posso fare di lei quello che voglio. Così come puoi fare tu. Non vale più di quello che è.―
Gli occhi di Andrew si accesero d'ira.
―Vuoi sfidare tuo fratello, Andrew? ―
―Voglio solo farti capire chi comanda ― rispose l'altro a bassa voce.
―Sei troppo presuntuoso.―
Andrew gli si gettò addosso prima che Philip avesse il tempo di realizzare quanto stava per fare, ed entrambi finirono contro un tavolo.
Philip era più grosso, ma Andrew era altrettanto forte e inoltre era animato da una cieca collera. Mentre rotolavano avvinghiati sul pavimento, Andrew avvertì una fitta alle costole, ma non se ne curò.
Si rialzò e Philip lo imitò senza indugio. Cominciarono a girare in tondo, gli occhi fiammeggianti, il respiro affannoso. Gli altri presenti mormoravano frasi sconnesse che nessuno dei due voleva o riusciva a comprendere.
Incassando la testa nelle spalle, Andrew caricò e caddero ancora, riempiendosi di pugni fino a quando non ebbero consumato la rabbia.
Philip cadde in ginocchio con un'imprecazione.
Andrew allungò una mano per appoggiarsi al muro e si tirò in piedi.
Si trascinò fino all'uscita e si fermò solo un istante sulla porta, sorreggendosi allo stipite.
―È solo una serva, Andrew! ― gridò Philip, con la voce rotta dal dolore, intrisa di disprezzo. ―Solo una stupida serva! ―
Andrew inspirò a fondo, poi porse le scuse al proprietario, lanciandogli qualche moneta per riparare ai danni, e uscì dalla porta.
Ammaccato nel corpo quanto nell'anima, risalì in groppa al cavallo e cavalcò verso casa, nella bruma della sera.






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