Capitolo 29 - Perdere il senno.

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Andrew non se lo spiegava. Da più di due settimane, Megan non era propensa a giacere con lui. Non capiva cosa le fosse capitato; la vedeva più debole, triste anche, ogni movimento avveniva a rallentatore. Aveva provato a parlarle, a chiederle spiegazioni, ma lei si era limitata a dirgli che andava tutto bene. Andrew aveva deciso di non insistere: qualunque cosa fosse successa a Megan sarebbe stata lei a parlargliene, quando fosse stata pronta.

Dopo cena, il conte si diresse alle scuderie per controllare che il suo stallone fosse nelle condizioni giuste per cavalcare. La mattina seguente si sarebbe recato in paese per acquistare dei gioielli e degli abiti nuovi da donare a Megan, così che si sarebbe sentita più a suo agio nelle vesti di futura contessa.
Era notte fonda, un gufo gugolava in lontananza.

Gli stallieri si erano già ritirati, nelle stalle regnava un quieto silenzio rotto solo dallo sbuffare leggero dei cavalli.
Quando Andrew entrò, il legno della porta cigolò leggermente. I suoi piedi calpestarono la pietra del pavimento coperta da un sottile strato di paglia, e quel rumore lo ricondusse immediatamente alla sua infanzia. Alle prime volte in cui suo padre aveva insegnato a lui e Philip come cavalcare, i tempi in cui le preoccupazioni non esistevano e il mondo sembrava tremendamente svicolato da qualsiasi male.
Quei tempi ormai erano passati, anche se lui aveva trovato un po' di bellezza nel mondo grazie a Megan.

Raggiunse il suo cavallo e gli sorrise nella penombra della stalla, conscio del fatto che l'animale non poteva né vederlo né capire il significato di quel gesto. Poi gli accarezzò il muso e vi appoggiò la fronte contro, inspirando a fondo. Presto avrebbe sposato Megan e la sua vita sarebbe stata completa. Avrebbe sposato la donna che amava più di qualsiasi altra cosa o persona e il pensiero lo faceva ribollire di gioia.

—Domani faremo una degna cavalcata in memoria dei vecchi tempi, amico mio— sussurrò al cavallo che sbuffò scrollando piano la grossa testa.

All'improvviso Andrew sentì la paglia scricchiolare alle sue spalle, e subito i suoi sensi si misero in allerta. Portò immediatamente la mano alla spada chiusa nel fodero e ne estrasse l'elsa.

—Chiunque tu sia, ti consiglio di andartene prima che ti stacchi la testa dal collo— sibilò nell'oscurità.

—Non temete, mio signore— gli rispose una voce femminile, bassa e voluttuosa. —Sono solo io.—

Andrew emise un sospiro di sollievo, riponendo la spada nel fodero e voltandosi.

—Roxanne— sussurrò passandosi una mano sopra agli occhi con aria stanca.

Indossava solo una camicia da notte che le arrivava appena sotto il ginocchio; i seni erano per metà scoperti dal tessuto leggermente spostato di lato.

—Non siete contento di vedermi?— mormorò la ragazza con espressione vagamente delusa.
I suoi capelli sembravano più lunghi dall'ultima volta che avevano parlato, più di tre settimane prima; erano debitamente scivolati dietro le spalle candide di Roxanne.
Andrew la guardò con determinazione.

—Certo, Roxanne— disse scuotendo la testa. —Che ci fai qui nel bel mezzo della notte?— chiese con aria distratta.
Fece per superarla, ma la mano di lei si chiuse repentinamente attorno al suo avambraccio.

—Credo che voi lo sappiate, signore— rispose sollevando la testa, fissandolo con caparbietà.

—Non è così? — Si sporse appena verso di lui. La camicia scivolò ancora di lato, scoprendole un capezzolo.
Andrew serrò le labbra.

—Credo sia meglio che tu vada a dormire— sibilò in tono tagliente, divincolandosi dalla sua presa e raggiungendo a grandi falcate le porte d'ingresso.

—Signore— sentì la sua voce chiamarlo piano in quella che aveva tutta l'aria di essere una supplica.

—Guardatemi, signore— insistette. E lui lo fece. Non seppe mai perché si girò verso di lei, anche se in seguito cercò in tutti i modi di spiegarselo.
Roxanne si era fatta scivolare la camicia a terra, e adesso lo fissava, completamente nuda, a pochi metri di distanza.

- IN REVISIONE - Il tuo respiro sulla pelle Where stories live. Discover now