Capitolo 13 ― Segnali.

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― Buon Dio, Ginny! ― strillò Hanna, scuotendo la testa. ― Sta' attenta a quello che fai. Hai di nuovo bruciato il pane. ―
Sospirò e si diresse alla dispensa.
― Raschialo e mettici sopra del burro, prima che i signori siano pronti per la colazione.
Ginny sbuffò, mentre Hanna si rivolgeva a Megan. Aveva dormito più del dovuto e i segni del sonno bruscamente interrotto dalla donna erano chiaramente visibili sul sul viso.
―Bambina mia, cerca di tirarti un po' su di morale.
―Sono solo stanca, Hanna. ―
Megan scosse la testa, sbattendo le palpebre. Lexie era andata al mercato a comprare il necessario per il pranzo, Ginny si stava dando da fare per impastare nuovamente il pane e Peter e Thomas, stalliere e guardiacaccia, si erano alzati prima che il sole sorgesse per svolgere i propri compiti. Mancava solo lei, che non aveva ancora riacquistato la cognizione del tempo e della realtà. Aveva passato una notte pressoché insonne, tra incubi e dormiveglie, e adesso l'unica cosa che avrebbe potuto risollevarla era una spruzzata d'acqua fredda.
―Posso prepararti il bagno, se vuoi ― le propose Hanna, sussurrandole all'orecchio.
―Non lo diremo a nessuno ― le strizzò l'occhio, e lei sorrise.
―Ti ringrazio, Hanna, ma credo di aver solo bisogno di respirare un po' d'aria fresca.
―Passa dalla porta sul retro ― suggerì la donna, indicandogliela con uno sguardo.
Megan prese un respiro, afferrò il mantello, mettendoselo in spalla, e poi uscì.

L'aria fredda del primo mattino le si riversò addosso, procurandole un brivido. Si sentì presto rigenerata. Aveva sempre amato, fin da quando ne aveva memoria, l'aria fresca; aveva il potere di scacciare qualunque brutto pensiero, di farla sentire viva.
Da dove si trovava poteva vedere il profilo delle stalle, da dove alcuni uomini entravano ed uscivano trasportando sacchi di paglia e secchi colmi d'acqua. Vide un ragazzo ― Peter, probabilmente ― che si asciugava il sudore dalla fronte, e subito le tornò alla mente l'immagine di Jasper. Gli stessi movimenti, lo stesso sguardo determinato, le labbra contratte per lo sforzo di trasportare pesi. Pensare a lui le provocò un brivido intenso lungo la schiena. Probabilmente era morto. Probabilmente non esisteva più nemmeno nei ricordi della gente.
Scrollando la testa, Megan appoggiò la schiena al muro e sospirò.
Chiuse gli occhi, li riaprì. Fu in quel momento che la vide: una donna, anziana, con la schiena ingobbita e lo sguardo rivolto verso terra. Portava una cuffia in testa, che le copriva completamente i capelli, e si appoggiava a quello che aveva tutta l'aria di essere un bastone vecchio e consunto.
Megan aguzzò lo sguardo, cercando di scorgere il suo volto. Quando lei sollevò gli occhi da terra, la ragazza trasalì. La riconobbe all'istante: era la stessa donna che l'aveva salvata dalla truffa del venditore di sale solo qualche giorno prima.
Spinta da una sincera curiosità, Megan si allontanò dal muro e percorse rapidamente la distanza che le separava. Quando le fu davanti, la donna sorrise dolcemente.

―Ero sicura che avresti fatto la scelta giusta ― sussurrò. A Megan sembrò di cogliere un lampo di orgoglio nei suoi occhi.
―Voi!― la apostrofò, felice di rivederla
―Come sapevate che... ― sbatté le palpebre, confusa. ―Che cosa ci fate, qui? Siete una serva come me? ―
―Oh, no, bambina ― la donna sorrise, sollevando il bastone e indicando un punto alle sue spalle. ―Entriamo in cucina. Ti spiegherò tutto. Se i padroni ci vedono parlare qui fuori vorranno saperne il motivo e non credo proprio che saresti disposta a raccontare che ci conoscevamo già. ―
Megan la fissò. ―Non credo che i padroni siano già svegli, è ancora molto presto.―
―Credimi, piccola Megan ― la contraddisse lei con un sospiro. ―Entrambi si svegliano sempre prima che il gallo pensi anche solo di cantare. ―
Megan sollevò lo sguardo, forse pensando di scorgere il volto di Andrew o Philip sbirciare da una delle finestre, ma si ricordò che le loro stanze affacciavano dalla parte opposta del cortile.
Sollevata, annuì, lasciandosi guidare dalla donna verso la porta da cui era uscita poco prima.
―Come vi chiamate? ―
― Gladys ― rispose l'altra con dolcezza.
―Come dicevo prima, sono davvero fiera che tu abbia deciso di andartene da quel posto. Soprattutto perché ora non dovrai più subire gli abusi di quel bruto. Sarai felice qui, Megan. Posso garantirtelo.
Lei sorrise.
―Ne sono felice anch'io.―
Si strinse nelle spalle con un sospiro.
―Non era più una vita, quella che conducevo fino a qualche giorno fa. ―
―Posso solo immaginarlo, bambina.―
Il tono di Gladys parve indurirsi, mentre, servendosi del bastone, apriva la porta lasciata socchiusa da Megan. ―Ma ora è tutto diverso. Certo, dovrai comunque darti da fare, ma nessuno attenterà più alla tua incolumità. I padroni sono brave persone. Beh, il conte Philip è un po' burbero, alle volte, però saprà come gestirti. ―
Megan si sentì un nodo allo stomaco mentre si richiudeva la porta alle spalle.
Si sganciò il mantello, tornò nella stanza che aveva condiviso con Lexie quella notte e lo gettò sulla sua branda.
Poi tornò in cucina, dove Gladys si era seduta... sul pavimento. Il bastone era appoggiato al suo fianco, contro la parete, e gli occhi erano chiusi.
Hanna, che stava riordinando i tizzoni del fuoco acceso da poco, scosse la testa.
―Dovrai abituarti a questi comportamenti da parte sua. Gladys è una donna molto strana. La considerano un'indovina; quando dice una cosa, quella si avvera nel giro di un paio di giorni. Ma io credo solo che non stia bene con la testa. ―
Megan osservò l'anziana donna, le gambe distese davanti a lei, un lieve ronzio che fuoriusciva dalle labbra raggrinzite.
Sembrava così piccola e minuta, una donna anziana nel corpo di una bambina, e Megan provò l'insolito desiderio di abbracciarla. Se avesse potuto conoscere sua nonna, probabilmente avrebbe provato le stesse cose.
―Aveva predetto anche il mio arrivo, vero?―
―Oh, sì ― esclamò Ginny, che stava infornando il pane. ―Ha detto che il padrone, Andrew, sarebbe tornato dopo la lunga assenza e avrebbe portato con sé una ragazza. ―
―E poi sei arrivata tu ― continuò Hanna con un sorriso.
―Forse è l'unica cosa bella che abbia mai predetto.―
Megan rimase stupita da quelle parole, cercò di metabolizzarle a dovere e sorrise.
―Anch'io sono felice che abbia predetto il mio arrivo.―
Poi indossò la divisa da cameriera e si preparò, insieme a Ginny, per servire la colazione.

***

Dopo cena, prevalentemente a base di stufato di montone e patate, Andrew venne spinto, come se le proprie gambe si muovessero di volontà propria, verso le cucine.
Doveva vederla. Anche solo per un istante.
Fortunatamente, il litigio con suo fratello non aveva lasciato segni troppo evidenti sul suo viso, così non avrebbe dovuto dare spiegazioni.
Come previsto, lei era lì, accanto al fuoco ormai quasi spento.

―Ho bisogno di parlare con Megan. Da soli ― ordinò, facendo segno ad Hanna e agli altri di ritirarsi. ― Per favore. ―
Quando gli altri servi si furono ritirati, lui scorse la confusione nello sguardo di Megan.
―Buonasera, Megan ― disse con voce tesa.
Lei chinò la testa.
―Buonasera, milord― deglutì. ―Posso esservi utile?―
Andrew aprì la bocca, poi la richiuse. Si diresse al tavolino all'angolo, prese una bottiglia e versò il liquore in due bicchieri. Cercò di concentrarsi più che poté, perché per qualche assurda ragione gli tremavano le mani.
―Milord? ― lo chiamò Megan, seguendo i suoi movimenti con aria interrogativa.
―Voi bevete? ― le domandò lui, voltandosi. Le porse il bicchiere e la guardò scuotere la testa.
―No, vi ringrazio.―
Andrew annuì, poi bevve il primo sorso e appoggiò con una leggera veemenza sul tavolo.
―Mio fratello vi ha mancato di rispetto, Megan? È così?―
Lei sussultò per l'inaspettata domanda. Deglutendo, scosse la testa.
―Non è niente di grave, milord ― lo rassicurò. ― Vostro fratello ha fatto solo il suo dovere di padrone. ―
Andrew reagì di scatto, battendo un pugno sulla superficie del tavolo smussato.
― No ― tuonò, fissandola con occhi penetranti e folgoranti.
― Non aveva il diritto di offendervi. Siete alle mie dipendenze, non alle sue. ―
Afferrò uno sgabello e si mise a sedere, prendendosi la testa tra le mani.
―Milord ― disse Megan, appoggiandogli involontariamente una mano sul braccio.
―Non mi sono sentita offesa. Non dovete preoccuparvi, so qual è il mio posto. E sono felice di farvi parte. ―
Andrew sospirò, sollevando lo sguardo su di lei.
Era così ingenua, così vulnerabile. A Philip sarebbe bastato poco per spezzarla e lui non poteva permetterglielo. Non lo voleva, soprattutto.
―Megan, perché non capite? ― le afferrò la mano che lei teneva ancora appoggiata sul suo braccio. Mani così piccole. Andrew le immaginò che lo stringevano. Probabilmente non le avrebbe nemmeno sentite. E forse...
Scacciò il pensiero, accorgendosi che il suo corpo stava cominciando a reagire. Spaventarla era l'ultima cosa che voleva.
Perciò si costrinse a celare quelle sensazioni.
―Mio fratello è un prepotente, un farabutto, alle volte.―
Andrew assaporò un altro sorso di liquore, mandando giù tutta l'amarezza.
― Non gli importa di ferire le persone, in particolar modo se si tratta di qualcuno che appartiene al vostro ceto sociale. Megan, dovete promettermi che, la prossima volta che vi manderà a chiamare, voi non vi presenterete. Per favore. Potete fare questo per me? ―
Lei lo fissò per un paio di secondi. Lui notò che il labbro inferiore tremava leggermente e se ne domandò il motivo.
Poi Megan gli sorrise. ―Come desiderate, milord.―
Andrew non seppe dire con certezza quanta gratificazione trasse da quelle semplici parole. Cominciò a sentire quel bisogno familiare al basso ventre, quando, alzandosi, l'abito di Megan gli mostrò appena il solco tra i seni. Cercò di non pensarci.
Lussuria.
Doveva semplicemente essere consumato dalla lussuria, dal desiderio spasmodico e fremente di...
Scacciò ogni pensiero di cosa si celasse sotto quegli indumenti, afferrò il bicchere e finì lo scotch in un solo sorso.
―Grazie, Megan. ―
Lo disse in tono forse troppo duro, perché lei gli rivolse uno sguardo confuso. ―Perché mi ringraziate? ―
Andrew si alzò dallo sgabello, si sistemò il colletto della camicia e fece per andarsene.
Una volta girato di spalle, voltò appena la testa.
―Grazie per non avermi disobbedito. E perché non lo farete in futuro.―
Megan abbassò il capo, in un inchino che lui non vide.
―Siete il mio padrone, adesso. È mio dovere obbedirvi. ―
Già, pensò lui, sono il vostro padrone. Annuì e varcò la soglia.
Poi sparì, nell'ombra del corridoio.

- IN REVISIONE - Il tuo respiro sulla pelle Where stories live. Discover now