XXXVII

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Svafrlami riaprì gli occhi sul suo trono.

Allora i greci, timorosi della mia espansione, credono di potermi fermare mandando contro di me i loro alleati cazari. Ma quanto siete ingenui! Non immaginate che riesca a vedervi e a seguire tutti i vostri complotti? Mai vi avvicinerete alla mia Holmgard!

Presto sarò il signore di tutta la terra di mezzo, anche se non volete che così avvenga. La supremazia di Costantinopoli crollerà! Spaccherò le sue mura con la mia spada.

La grandezza di Costantinopoli era dovuta anche all'arruolamento di mercenari norreni, tra cui i variaghi provenienti da Gardariki. Questi, con la loro forza e il loro ardimento, avevano contribuito a espandere le frontiere dell'Impero fino alle steppe dove vivevano i nomadi cazari, un popolo dagli occhi a mandorla noto per la destrezza dei loro arcieri a cavallo, che i greci talvolta reclutavano allo scopo di razziare i regni rivali.

Costoro non mangiavano carne di renna né bevevano latte di mucca, bensì preferivano quello delle giumente e la carne dei cavalli, i quali vivevano dell'erba che pascevano. Dunque non abbisognavano portare con loro né orzo né paglia.

I greci avevano spie a Gardariki e pianificavano appunto di inviare un esercito di cazari contro il regno di Svafrlami. Malauguratamente per loro, non possedevano la Visione di cui egli poteva usufruire dal suo Hlidskjálf.


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«Purtroppo non potrò prendere parte a questa campagna. Klitzes, il sultano dei turchi, preme impietoso a oriente.» Herrik era uno dei vareghi rigidi come statue disposti accanto al trono del sovrano dei romani, la cui base si trovava all'altezza della sommità delle teste delle guardie. Ascoltava con attenzione le parole del basileus, i cui bordi della porpora pendevano dalla scranna imperiale e gli sfioravano la tempia. Oramai capiva il greco al cento per cento. «Tu che sei rimasto tanti anni lontano a nord forse ancora non lo sai, ma questa stirpe dal cuore incostante e il cui spirito non è mai stato fedele al Signore nostro ha invaso le nostre terre situate a est.» Il trono salì di un altro palmo, così come gli si alzava il tono di voce mentre parlava con la spia che per nove anni era restata a Gardariki. Poteva salire e scendere non per magia, come credeva Herrik quando era arrivato in città ancora bambino, bensì per azione di un complesso marchingegno. «Le ha devastate col ferro, con la rapina e col fuoco e ha in parte condotto prigionieri i nostri cittadini nel proprio paese; un'altra parte ne ha uccisi con miserevole strage, e le chiese di Dio o le ha distrutte dalle fondamenta o le ha adibite al culto dell'empia religione. Abbattono gli altari dopo averli sconciamente profanati, circoncidono i cristiani e il sangue della circoncisione lo spargono sopra gli altari o lo gettano nelle vasche battesimali; e a quelli che vogliono condannare a una morte vergognosa perforano l'ombelico, strappano i genitali, li legano a un palo e, percuotendoli con sferze, li conducono in giro, sinché, con le viscere squarciate, piombano a terra prostrati. Altri, poscia essere stati legati a dei pali, servono da bersagli alle frecce; e altri ancora, dopo che li hanno costretti a piegare i colli, sono assaliti da li turchi con le spade ed essi provano a troncar loro le teste con un sol colpo. E che dire della nefanda violenza recata alle donne, della quale peggio è parlare che tacere?»

«Sire, la vostra giurisdizione non si estende ai soli corpi ma comprende anche la cura delle anime. Riconducete all'ovile di Dio le pecorelle smarrite. Perciò comprendo che vogliate prendervi cura di persona di quei territori dove i cristiani sono maggioranza, onde difenderli quando vengono maltrattati. Poi potrete badare a coloro che nell'ovile di Dio non ci sono mai entrati, sperando che i cazari vi spianino la strada.» L'interlocutore dell'autocrate era un erudito che conosceva a perfezione le lingue e i costumi di numerosi popoli che i romani reputavano barbari. Nondimeno, essendo un membro dell'alta aristocrazia, chissà quanto doveva essergli mancata la clamide arricchita di intricati bordi ricamati in oro e seta. «Ciò che temo è che Svafrlami possa diventare in futuro ciò che i turchi sono oggi.» Quella non era un'ipotesi del tutto strampalata, stando a quanto gli aveva detto suo padre nelle lettere in cui descriveva uno scenario assai simile a quello descritto dall'imperatore in riferimento ai turchi. Gardariki e i suoi dintorni erano in preda alla carestia e alla guerra. Mi sono trasferito in Anglia per poter sopravvivere, non per brama di razzie, figliolo mio. Ti prometto che ti raggiungerò a Miklagard il prima possibile. Herrik era convinto della piena verità delle parole di suo padre.

«Svafrlami morirà prima di diventare qualcosa di veramente terribile. Anche se si dice in giro che impugni una spada magica che lo rende immortale, non credo a simili fandonie.»

«Infatti Svafrlami non è un dio, per quanto porti seco una spada che penso abbia per davvero strani poteri, una specie di spada del Diavolo. Eppure, se egli è specchio del Diavolo, il basileus dei romani è il tetelesmenos» "l'iniziato", «e il tethronismenos,» "colui che sta sul trono"; quei termini lo confondevano, ma era sicuro che il significato fosse quello, «è l'uomo che come uno specchio riflette la divinità.»

«Anche per cagion di questo, se Svafrlami si pentirà, eserciterò la benevolenza. Il basileus deve avere verso gli altri uomini l'atteggiamento che un padre ha verso i figli e che consiste essenzialmente nel saper perdonare.» Ma se il sovrano di Gardariki avesse vinto quella guerra, non sarebbe stato concesso alcun perdono nemmeno al re dei romani. Da quando jarl Ormr era stato ucciso, il caos non aveva fatto altro che espandersi e Svafrlami non si mostrava pietoso verso nessuna testa coronata, anzi, le staccava dai loro colli senza alcun rimorso.

Herrik talvolta rifletteva sul fatto che le norne avevano deciso di estendergli il filo della vita nel momento in cui era stato assegnato a jarl Gestumblindi, che aveva preso al momento giusto la risoluzione di lasciare Gardariki, prima dell'avvento della spada maledetta. Tutto è cambiato dopo che è stata forgiata da dei nani la lama che fra di noi chiamiamo il dente di Garm, ma che Svafrlami chiama Tyrfing, così gli aveva scritto suo padre.

I greci non credevano ai nani. Quando parlavano sul serio della spada di Svafrlami, attribuivano la sua creazione ai diavoli.

Herrik non aveva mai visto né gli uni né gli altri e stentava a credere ad altro che alla malizia e alla bramosia degli uomini. Eppure suo padre e altre persone gli avevano sempre assicurato l'esistenza di creature del genere. In ogni caso, che esistano o meno, non importa come vengano chiamate. Gli uomini le usano per soddisfare i loro desideri di vittoria o di possesso, sottomettendole oppure sottomettendosi ad esse. Il problema è sempre e comunque l'uomo. E per quanto si trovasse su un trono altissimo, un uomo era pur sempre un uomo e perciò destinato a morire. Tuttavia era preferibile mettersi al servizio di un uomo assiso su un trono che gli riempisse i bauli d'oro, piuttosto che di un altro che avrebbe potuto ucciderlo a qualunque momento per capriccio e follia.

Aveva imparato qualcosa da jarl Gestumblindi.


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