VIII

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Eyfura era pronta a sguainare la spada, le sue compagne si agitarono, ma fermò la mano accanto al manico.

«Il frassino in cui sono disposti i mondi tollera pena più grande di quanto gli uomini sappiano; in alto lo morde il cervo, di lato marcisce; e il drago lo intacca di sotto.» Svafrlami si introdusse nella sala grande.

«Fratello!» Eyfura lo aveva riconosciuto.

«Figlio mio... Svafrlami! Ma sei davvero tu?» Sua madre portò una mano tremante alla corona.

«Noto che in mia assenza, sotto certi aspetti, questa corte è migliorata.» Abbozzò un sorriso malizioso e scrutò le donne armate che si trovavano presso sua mamma e sua sorella. Avevano esitato a farsi avanti e a puntare le loro lance verso di lui. Certo che si erano spaventate, domandandosi da chissà quale abisso si fosse materializzato quello scheletro movente che lui era diventato. «Ma è peggiorata tantissimo sotto altri punti di vista.» Il cavallo passò accanto a quel nobiluomo effeminato che ricordava di aver già visto da qualche parte, ma non rammentava il suo nome, e defecò, questi non in grado di muoversi, perplesso e terrorizzato. Il bimbo al suo fianco si era tappato il naso. Poverello se aveva un olfatto più sviluppato, poiché appeso all'albero era impossibile lavarsi! «Vermi e serpenti, traditori striscianti, si accatastano in ogni angolo e puzzano di un lezzo ributtante di ferite suppurate e carne marcescente che infetta i miei polmoni e mi attorciglia lo stomaco. Non posso nemmeno dire che siano corvi che sorvolano un carcame, perché non sono nemmeno in grado di volare.» Balzò giù dal cavallo e continuò a non rivolgere lo sguardo nella direzione dell'impietrito ergi. Tanto non era una minaccia.

Il Verme del SangueWhere stories live. Discover now