III

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Possibile che quella stramaledetta vecchia non si addormentasse mai? Svafrlami si assopiva sovente e, in ogni occasione in cui riapriva gli occhi, la trovava lì ferma, ancora sveglia.

Senza niente in testa – quantunque fosse abituato a vederla con un cappello appuntito a larghe falde – , la sua chioma presentava delle incredibili ciocche scure e le arrivava poco sotto la cintola.

Indossava un vestito ridotto a brandelli, degli stivaletti scalcagnati, talvolta era scalza e di tanto in tanto alzava lo sguardo, assisa sempre sulla stessa pietra o a terra con le gambe incrociate.

I suoi occhi vigili erano il fulcro spirituale di un volto nel quale ogni solco, ogni grinza, conteneva decine di rune. Il re appiccato aveva l'impressione che lo squadrasse per tutto il tempo, vuoi dal basso, vuoi dall'alto. Talora gli pareva che si scambiassero le posizioni. Ella, sospesa in aria, osservava tutto; egli era terrorizzato all'idea di uno schianto.

«Sono trascorsi ventisette giorni.» La volva riprese a muovere la bocca. Le sue parole non erano uscite sfrontate com'era il suo solito. «Magari tutta questa immane fatica è servita a qualcosa.» Per la prima volta, dopo essere stato percorso un terzo del cammino, il suo discorso si ammorbidiva e le labbra sgualcite, che si infossavano per la mancanza di denti, si piegarono in un sorriso. Forse perché non erano più soli: due corvi si posarono sui rami della quercia, in silenzio tranne che per lo sbattere delle ali. «Il tuo corpo non mostra più alcuna gagliardia... nondimeno riesco a scorgere uno scintillio che ti avvolge lo spirito.»

Chissà se non fu proprio quello scintillio a generare in lui un intorpidimento diverso da quello del sonno. Chiuse gli occhi ed ella non lo richiamò.

Il re appiccato sperimentò la libertà di sorvolare la foresta col suo corpo di sogno. Scorse sulle cime degli alberi molteplici bagliori multicolori, farfalle di luce e cristalli e uccelli che diffondevano, sulla scia del loro passaggio, tracce sfavillanti di una realtà più alta.

A terra prevaleva la gioia dei folletti che salterellavano. I più minuti, alcuni dei quali gli attirarono l'attenzione per le teste frondose e i piedi ricoperti di muschio assai più grandi dei loro visi terrosi, spargevano corpuscoli che assomigliavano a una polvere di smeraldo mentre ridevano, giocavano e ballavano. Pervadeva la natura una melodia inaudita.

Tornò nel suo corpo, più ossa che carne, e si lagnò perché molti dei dettagli dell'esperienza erano svaniti in un attimo o diventati qualcosa di opaco. Quella musica era irriproducibile. Gli appariva invece chiaro che gli mancava ancora molto per portare a termine la sua iniziazione.

Si fidava di Eikintjasna per seguitare a contare i giorni. Risollevò le palpebre e che avesse perso il senso del tempo fu palesato dalla neve che rivestiva tutto, perfino i capelli dell'anziana. Ma il re di Gardariki non provava caldo né freddo, malgrado fosse arrivato l'inverno e le sue vesti di lino, adorne di fili d'oro intrecciati a formare dei serpentelli, si fossero trasformate in stracci.

Serrò di nuovo le palpebre e si ritrovò in un'oscurità senza fine dove ebbe la sensazione di restare bloccato per ore e ore, fino a quando, all'inizio come una favilla e a poco a poco in crescita, non si manifestò un albore glorioso. Gli venne in mente che doveva essere la sua scintilla di vita eterna, concessa da Odino a tutte le creature, anzi l'Essenza, il punto di partenza di ogni entità vivente, che subisce rinascite successive e pressoché immediate, dal minerale al vegetale, dal vegetale all'animale e dall'animale all'essere umano. Allora si aprono tre vie possibili: Niflheim per le anime degenerate; lo splendido ma transitorio giardino di Urd, e in seguito reincarnazioni su Midgard, per le anime buone e gentili; e infine Asgard per le migliori, per coloro che fanno compagnia agli dei.

Non appena Svafrlami ebbe questa percezione, superate la nebbia, le nuvole e l'arcobaleno, i suoi occhi colsero un barlume del regno degli Asi, splendente d'oro il Valhala, laddove erano portati da Hroptr gli uomini caduti nella mischia. Il tetto sorretto da lance, il salone coperto da scudi. Le panche eran ricavate da corazze e un lupo era appeso dinanzi all'ingresso occidentale, mentre sopra si levava un'aquila, il cui sguardo lo fece calare a capofitto.


Il Verme del SangueWhere stories live. Discover now