VII

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   Da quando era diventato paggio di jarl Gestumblindi, il giovane Herrik non era mai entrato in un castello sì grande e affascinante come quello di Holmgard

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Da quando era diventato paggio di jarl Gestumblindi, il giovane Herrik non era mai entrato in un castello sì grande e affascinante come quello di Holmgard. Si guardava intorno incuriosito e meravigliato, poiché per la prima volta gli si presentava l'occasione per contemplare magnifici arazzi di caccia e altri che rappresentavano i viaggi dei predecessori di re Svafrlami in luoghi come la Babilonia, con le sue cupole appuntite in mezzo al deserto, e Costantinopoli, la più grande e possente città del mondo, con le sue campane, le aquile sui tetti, le cupole scintillanti e, a destra, i numerosi giardini piantati a pini e bianchi allori.

La visione di siffatte meraviglie gli rafforzava il sogno di diventare un membro della Guardia Variaga. Lo coltivava sin dal giorno in cui suo padre gli aveva mostrato delle rune incise su pietre che riportavano anche segni greci:

«Qui giacciono sepolti coloro che servirono a Miklagard.» Gli aveva additato pure la croce, che indicava che quell'uomo era stato un varego. «Laddove ricevettero larghi doni e la stima dell'imperatore romano.»

Eppure lì, a Holmgard, l'accoglienza fu tutt'altro che cortese:

«Perché non te ne vai?» La principessa Eyfura, in piedi accanto alla regina madre, la donna matura e incoronata che si trovava assisa sulla scranna regale, aveva un'aria più battagliera che altera. «Non sei altro che un corvo cieco!» Guizzò nel suo sguardo freddo un lampo di ferocia e si gettò dietro le spalle la treccia di capelli biondi. Era bella, ma incuteva paura. «Possibile che non hai ancora capito che mia madre non si fida delle tue proposte?» Indossava un usbergo costituito da una decina di anelli dorati che luccicavano come un secondo sole. «Faresti meglio a rinunciare, malgrado io sappia che non si placa mai l'appetito degli uccelli avidi di carcasse che non appartengono all'Altissimo, donde ne consegue che resterai qui per tormentarci.» Herrik e jarl Gestumblindi si erano inginocchiati alla base della scalinata del trono. Tutti dicevano che il suo signore fosse un ergi, cosicché in teoria gli piacevano di più i ragazzi che le donne, ma suo padre gli aveva ordinato di seguirlo comunque. Era uno dei più prosperi jarl di Gardariki e avrebbe apportato ricchezza e prestigio alla loro famiglia.

«Non siate ingiusta, gentile principessa Eyfura. Non dipendo interamente dai capelli di Sif.» Cessò di accarezzare i fili dorati sul proprio capo e fece cenno verso il baule stipato di oggetti d'oro ch'era aperto alle loro spalle. «Bensì posso fare ricorso ad armi affilate per proteggervi dagli usurpatori.» Prima di entrare nel castello aveva detto di non voler sembrare meno abbiente del basileus dei greci, quindi si era peritato di indossare una lunga tunica di seta e calzari di color porpora e un diadema d'oro intarsiato di gemme preziose gli coronava la fronte.

«Avete l'intenzione di proteggerci?» La regina accarezzò lo scudo che era adagiato alla sua sinistra. «Come potete vedere, ho già chi mi protegge.» Oltre alla figlia, altre due donne la fiancheggiavano, una rossa alta e larga nei fianchi, ma dalla figura slanciata, coi capelli rasati a metà cranio, e la seconda bionda e tarchiata, la quale impugnava una lunga asta e aveva una faccia spigolosa.

«Pensi di poterci ingannare, che mia madre si trovi indifesa senza mio fratello e ch'io sia una dolce e ingenua fanciulla, ma ti sbagli di grosso.» Eyfura pareva essere lei l'orsa e la madre la sua cucciola. «Sono una skjaldmaer, una delle donzelle predilette da Odino, e sospetto che tu ti sia accordato con i traditori. Altrimenti in che modo saresti arrivato qui, lasciando alle tue spalle l'assedio? Se non mi sbaglio, è da diciotto giorni che non provano a dare assalto alle mura, ma ci strangolano, non lasciano passare nemmeno un ago. Nondimeno noto che sei intatto e per di più la tua chioma è stata acconciata con un'eleganza che ha un che di donnesco. Non vi è nemmeno un'umile macchia di sangue sulla tua preziosa tunica! Potresti spiegarmi come mai questo possa essere possibile?»

Jarl Gestumblindi si issò in piedi – con lui Herrik – e si inumidì le labbra vermiglie, come faceva ogniqualvolta la pressione intorno lo stordiva e si preparava ad abborracciare una scusa per qualunque cosa fosse, ma le porte del salone si spalancarono con uno schianto.

«Vi avevo ordinato di non permettere a nessuno di entrare!» Ma la regina madre tacque all'istante e la sua espressione si tinse di incredulità e orrore.

Herrik si accigliò, anche a causa dello scalpiccio degli zoccoli di un cavallo, e si voltò all'indietro insieme al pretendente della sovrana.

Ancor prima della visione, lo stomaco gli si contrasse per il tanfo di carogna. In bocca gli salì quel sapore acre che anticipa il vomito.

Prendeva corpo l'imponenza di un terrore atroce, che esisteva ai limiti dell'inconcepibile.



Il Verme del SangueWhere stories live. Discover now