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Penzolava fustigato dal vento, appiccato a testa in giù alla più alta quercia del bosco da una corda avvinghiata alle gambe come un serpente famelico.

Lo so io, fui appeso al tronco sferzato dall'aria per nove intere notti, ferito di lancia e consegnato a Odino, in offerta a me stesso, su quell'albero che nessuno sa dove dalle radici s'innalzi, recitò nel suo intimo questi versi, sollevò una mano e si accarezzò gli zigomi infossati. Con l'altra sfiorò le costole sporgenti. Andando più su, le ossa del bacino spuntavano sotto un sottile strato di pelle. Il prurito nelle piaghe non era altro che il brulicare dei vermi. Gli rimaneva poca carne da offrire.

Si inumidì le labbra ed era come leccare la corteccia dell'albero. Era da nove giorni che non muoveva la bocca.

Incominciò a piovere. Quel pomeriggio il cielo era cosparso di oscuri rami di nubi. Distese la lingua, facendola scivolare fuori dalla sua grotta, e catturò qualche goccia.

Un lampo fendette le nuvole. Ricacciò dentro il suo drago, dilatò gli occhi e fissò il bagliore. Doveva vedere.

A terra si appropinquava, scricchiolanti i suoi passi sulla melma tappezzata di fuscelli e foglie marce nereggianti come cenere, quella maledetta strega, piccola come una bambina di sei anni. Il suo volto ricordava più un intaglio su un vecchio tronco che un sembiante umano, e dal vincastro avvolto dalle dita raggrinzite pendeva un cordone con appesa la runa Ansuz. Arrivò lo schianto del martello di Thor.

«Tu non sei Odino.» Si arrestò e lo squadrò, corrugando la fronte. «Altrimenti avresti posto fine a questa scempiaggine!» gli scoccò di getto parole di rimprovero, che le saltarono dalla bocca insieme alle stille di saliva. «Oramai sono trascorsi nove giorni e nove notti, Svafrlami! Basta sprecare il tuo tempo. Che tu sia un re o un mendicante, non sei altro che un essere umano, quindi lontano dalla materia degli Asi. Non temi di essere punito per la tua sfacciataggine? Sei un esserino più spregevole del più infimo verme che rode le tue ferite.»

Teneva gli occhi aperti e la squadrava di rimando. Non era ancora giunto il momento di parlare.

«Scendi subito! Ti piacerebbe essere testimone di ogni cosa che accade nei nove mondi, ma ignori che il tuo trono vacante è bramato da molti nobili del regno? Uno dei tuoi perversi cugini, Ormr dagli occhi di serpe, tesse intrighi e agguati per accaparrarselo. Sostiene che sei già morto, che ti ha visto languire appeso a un albero, e un suo fantoccio fa la corte a tua madre e assilla tua sorella, la buona Eyfura. Impiega sempre parole purulente. Questo non ti turba il cuore? Non ti commuove? Ma figuriamoci, certo che no! Abbatteranno questa quercia, il cui tronco verrà aperto, e ti infileranno dentro per poi spingerti sulle acque nelle quali sprofonderai!» La tosse le troncò la voce. «Sono spossata!» L'anziana si sedette su una roccia, ansante. Gli rivolse un'occhiataccia, scrollò le spalle e tacque.

Per quanto tempo la volva sarebbe rimasta in silenzio appié dell'albero, sotto il sole e la pioggia, ricevendo sulla testa e sulle spalle anche la rugiada e la grandine?

Il re sospeso all'albero chiuse gli occhi.

Il Verme del SangueWhere stories live. Discover now