40. Sì, Signor Agente

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Definisco con lo sguardo il contorno delle tante piccole stelle che luccicano sopra alla mia testa.
Mi si incrocia lo sguardo nel cercare di inseguirle tutte, una ad una.

Sembrano infinite. Sono meravigliose e si stagliano come regine su un cielo scuro e terso.
Sembra dello stesso colore del mare di notte, come se a metà dell'orizzonte ci fosse uno specchio che riflettesse ogni superficie.

Poi mi viene in mente una cosa: chi ha detto che le stelle devono per forza avere la forma che ci hanno insegnato fin da bambini?
In realtà... sono rotonde. Rotondissime.
Le trovo più belle così: sferiche.
Senza spigoli, senza ombre o smussamenti. Semplicemente luminose ed innocue.

Come sarebbe un cielo senza stelle?
Noi... come vivremmo con un cielo perennemente buio?
Saremmo gli stessi? Alzeremmo ugualmente il viso di tanto in tanto, per sperare che un giorno ritornino?

Lo so... o almeno, io lo so.
Saremmo tristi e spenti. Siamo così abituati ad averle lì, che forse non ci facciamo nemmeno più caso, ma so che in fondo piacciono a tutti, anche a chi non lo vuole ammettere.

Le ho impresse nella mente come se mi fluttuassero nel cuore. Sono lì e basta.
E sono bellissime.

Sto per abbassare lo sguardo, ma ci pensa il rombo di una macchina a concentrare la mia attenzione sulla strada.
Socchiudo gli occhi per colpa dei fari color sole che puntano dritti al mio viso.

Quando scorgo qualcosa di fin troppo famigliare, ridacchio, muovendo le gambe in avanti di alcuni passi.
L'aria fresca della sera si annoda attorno alle ciocche chiare dei miei capelli, facendoli muovere liberamente sulla schiena.

Stringo le braccia al petto, cercando di coprirmi il più possibile.
Non è stata una buona idea farmi lasciare dai miei amici lungo una strada deserta nel bel mezzo della notte.
Per di più, con soltanto questo vestito addosso e la testa piena di birra.

L'auto si avvicina lentamente, fino ad accostare al limite del marciapiede. Nel silenzio della notte si sente soltanto il rumore del finestrino che si abbassa con un suono lungo e fastidioso.

«Aspetta qualcuno...» la sua voce è roca e gutturale, «signorina?».

Le mie gambe tremano mentre mi appoggio al finestrino abbassato, sentendo un leggero giramento di testa. Ho fatto troppo bruscamente.
Sbatto le palpebre un paio di volte, prima di inoltrarmi ulteriormente nell'abitacolo della macchina, dove aleggia un forte profumo di sigarette.

Non gli do nemmeno il tempo di respirare, precipitandomi a capofitto sulle sue labbra carnose e dolci.
Scott sembra essere preso alla sprovvista, ma non rinuncia a ricambiare immediatamente il bacio, afferrandomi per il collo esile.

Le sue dita lunghe e graffiate si intrecciano attorno ad esso, ancorandosi con decisione sul retro, vicino all'attaccatura dei capelli.
Sospiro pesantemente quando la sua lingua si insinua nella mia bocca, riempiendomi del suo sapore.

Fumo. La sua saliva sa di fumo.

Stringo ancora più forte gli occhi, facendomi più vicina, incurante della posizione sconveniente in cui mi trovo. Probabilmente ho il sedere di fuori e le gambe sono intorpidite.
Non m'importa.

Sono totalmente, irreversibilmente immersa in lui. Nelle sue labbra. Nel suo profumo.
Nella sua mascolinità.

Morde il mio labbro inferiore, causandosi da solo un gemito profondo, che vibra con così tanta forza nel mio petto, da farmi male.
La carne brucia e la mente scoppia.
Lo fa ancora, ma questa volta sono io a ringraziarlo con un lamento di piacere.

Quando ci stacchiamo, siamo entrambi senza fiato e le nostre labbra bagnate e gonfie.
Gli sorrido in modo furbo, guardandolo soddisfatta.

Mi era mancato. Tanto.

PATENTE E LIBRETTO, SIGNORINA.Where stories live. Discover now