52. Centimetri che contiamo con righelli di chi in matematica aveva quattro

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Scosto con la suola della scarpa i granelli di sabbia umida attaccati al molo di legno, rendendomi conto troppo tardi di quanto poco igienico sia.

Scott, che si trova alle mie spalle, mi sfiora il gomito con un dito, catturando la mia attenzione.

«Tieni» mi passa la coperta in cotone, «Mettiamoci sopra questa, così evitiamo di prendere qualche strana malattia».

Ne afferro un angolo, stando attenta a non far cadere neppure per sbaglio i sacchetti colmi di cibo cinese. La mia mano si sta praticamente squagliando, a causa del vapore che trapassa il cartone, ma dovesse costare la mia vita, non lascerò mai la presa sul nostro cibo.

Ho una fame da lupi. Oggi non sono riuscita a pranzare, se non con un tramezzino al tonno, perché mamma mi ha rinchiusa in camera obbligandomi a fare almeno una delle mille valigie che porterò a New York.

È stato un pomeriggio orribile. Quella donna sa essere veramente spaventosa, quando vuole.
Mentirei se dicessi che non ha letteralmente chiuso a chiave la porta, nascondendola in tasca.

Ho vissuto una sorta di sequestro di persona.
Forse Scott può arrestarla, o che ne so, almeno bandirla per sempre dalla mia stanza.

«Devo andare a prenderti il cuscino in macchina? Sei comoda?» domanda il riccio, rimanendo ancora in piedi mentre io mi sono messa già comoda.

Ho soltanto bisogno di mangiare. Al mal di schiena ci penserò più tardi.

«Tranquillo, sono a posto» lo ringrazio con un sorriso, «Vieni a mangiare e non preoccuparti per me. Si raffredda».

Annuisce, dopodiché si siede al mio fianco, con le gambe a penzoloni oltre il molo, distanti dall'acqua calma e silenziosa che borbotta scontrandosi di tanto in tanto contro gli scogli grumosi.

Mi ritrovo a far perdere lo sguardo oltre l'orizzonte chiaroscuro, dimenticandomi perfino della fame. Osservo con occhi vividi le piccole luci colorate della città, altre probabilmente provenienti dai fari di qualche barca ancora lontana dalla riva, in ammollo in mezzo al mare.

Un gruppetto di ragazzini chiacchiera e ride alcuni pezzi di spiaggia più in là, guardandoci incuriositi. Stanno cercando di accendere un falò, ma il leggero venticello serale non è decisamente dalla loro parte. La fiamma continua a bruciare e basta.

Ritorno con i piedi per terra quando il mio stomaco brontola indignato, perciò afferro la forchetta in plastica e prendo a mangiare.
Per i primi bocconi, abbiamo le bocche troppo piene per parlare, quindi stiamo in pace. Tuttavia, quando ci sembra di essere rimasti sufficiente tempo senza parlare, le sciacquiamo con della birra fresca, che scivola lungo la gola senza un briciolo di fatica.

Mi volto nella sua direzione, aggrovigliando i capelli in una coda, perché non fanno altro che finirmi per tutto il viso.
Si accorge del mio gesto, quindi ruota il busto, aspettando una mia eventuale domanda, che non tarda ad arrivare.

«Com'è andata a lavoro, oggi?».

Sorride, soddisfatto come se già la sapesse, «Bene, il giorno migliore della settimana».

Alzo un sopracciglio, colpita, «Come mai?».

«Oggi è il compleanno dello sceriffo e per festeggiare ci ha portato in centrale almeno una dozzina di scatole di ciambelle. Abbiamo fatto una specie di festa» le sue guance sono rosse, «Sono rimasto in ufficio tutto il giorno, a compilare scartoffie».

PATENTE E LIBRETTO, SIGNORINA.حيث تعيش القصص. اكتشف الآن