51. This is the very, very last time I'm ever going to

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Un altro colpo di tosse mi fa bruciare forte la gola. Strizzo gli occhi, cercando il fazzoletto usato nella tasca della felpa, stando attenta a non scoprirmi. 

È stata una pessima idea fare la doccia, stamattina. Il mio raffreddore si è triplicato e ho il naso così tappato da avere persino mal di testa.

Sto per soffiarmelo malamente, quando sento il campanello di casa suonare con un ronzio.
Mi metto in allarme, aguzzando le orecchie per cercare di capire di chi si tratti.
Ho vietato categoricamente a Ginni e Froy di presentarsi, considerando le mie condizioni.
Quindi non credo si tratti di loro, perché è da tutto il giorno che non fanno altro che mandarmi messaggi.
Mi avrebbero sicuramente avvisata prima.

La porta di casa viene aperta, mia mamma saluta, dopodiché la richiude. Un borbottio leggero è tutto quello che riesco ad ascoltare.
Ho il respiro così pesante e rimbombante, da non sentire altro, se non voci confuse e troppo distanti.

Sto per rinunciarci e rintanarmi come un gatto sotto le coperte per farmi un bel pisolino, quando dei passi leggeri ma decisi iniziano a salire le scale, facendo scricchiolare perfino le pareti.
Si fermano davanti alla porta della mia camera, che è chiusa. Un paio di nocche bussano gentilmente sul legno, dolci ma sicure.

«Sono io» sussurra una voce roca, bassa, profonda, «Posso entrare?».

Scott.

Posso giurare di sentire il cuore fermarsi, prendere la rincorsa e partire nuovamente.
È un circolo vizioso che pare non fermarsi mai, mi scompiglia le viscere e la mente, lasciandomi con il cuore sottosopra.

Mi agito, entro insensatamente nel panico, a saperlo a pochi centimetri di distanza da me.

Perché è venuto? Gli ho detto che stavo male, che non mi sono ancora ripresa e che ci vorranno almeno un paio di giorni, eppure... lui è qui.

Non ci vediamo da quando siamo tornati a casa. L'immediato indomani mi sono svegliata con la febbre, per poi rendermi conto di aver preso l'influenza.

Credevo che entrambi volessimo che io prima guarissi, prima di incontrarci. Avevamo pattuito così per messaggio.
Eppure lui è... qui.

Me ne rendo concretamente conto mentre ci sto pensando, quindi il cuore inizia a battere scheggiante nel petto, arrossandomi le guance già calde.

Cerco di darmi una sistemata, asciugo il naso gocciolante e raccolgo con le dita il trucco sicuramente colato sotto gli occhi.
Lascio perdere i capelli, perché tanto sono un nido indomabile e c'è poco da fare.

Mi volto, dandogli la schiena, dopodiché appoggio la testa sul cuscino, coprendomi le labbra con il pugno avvolto nella coperta.
Ho freddo ma tremendamente caldo.
Mi sento svenire.

«Entra pure» il mio è più un verso strozzato che sembra doloroso.
Il mal di gola mi sta causando parecchi fastidi.

Un cigolio, poi di nuovo le sue scarpe sul pavimento freddo.
Cammina, cammina, cammina – stop.
Si ferma vicino al letto, rimanendo in piedi.
Ho gli occhi chiusi, ma riesco comunque a percepire la sua grande ed imponente presenza sul mio corpo fragile. Ha l'aura talmente colorata da abbagliarmi senza tregua.

Non conosco il motivo, ma trattengo il fiato fino a quando non devo per forza tornare a respirare. Ed ecco che vengo sopraffatta dal suo profumo aspro, lo sento bene nonostante il forte raffreddore mi tappi il naso fino alle tempie.

PATENTE E LIBRETTO, SIGNORINA.Where stories live. Discover now