12. Maledetto vino

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«Siete delle arpie» Duncan, leggermente su di giri, mi passa la palla, che di rimando schiaccio a Genelle.

Come ci siamo finiti a giocare a pallavolo, in giardino, alle undici di sera?

«A quest'ora Scott ed io saremmo stati tranquilli, seduti ad un tavolo a chiacchierare e invece siamo qui» mi passa di nuovo la palla che a stento riesco a prendere al volo.

Sento le braccia stanche e molli, per non parlare delle gambe.
I polsi arrossati all'altezza dell'osso per colpa del peso dell'oggetto mi bruciano, ricordandomi le ore di ginnastica a scuola passate a giocare a pallavolo.

«Non mi ubriacavo con il vino dalle superiori, cazzo» si sdraia per terra, sull'erba fine e bassa, poggiando una mano sul petto e l'altra a sorreggere la testa.

Sorrido, guardando la scena divertita quando Ginni lo segue, alzando il viso verso le stelle sopra alla nostra testa, che brillano come scaglie di fuoco vivo.
Sembrano avere viva propria.

Sto per sdraiarmi a terra, quando noto Scott, seduto sulle scale, intento a guardarli, senza però il minimo intento ad alzarsi.

Ha i gomiti premuti sulle ginocchia e il viso sorretto dai polsi venosi e stretti, appoggiati ai lati del mento.

Perché è sempre così impostato?

Mi dirigo verso di lui, catturando subito la sua attenzione.
La bellezza dei suoi occhi mi spezza il fiato per un secondo, facendomi sentire come se qualcuno mi avesse privata dell'aria attorno a me.

Le iridi chiare si distinguono nonostante il buio profondo in cui siamo immersi.
Sembrano gli occhi di un cerbiatto, con la sola differenza che non sono scuri.

I piedi si muovono lentamente, fino ad arrivare di fronte a lui, che mi guarda dal basso, con le sopracciglia aggrottate.
Un cipiglio profondo gli si forma proprio sulla fronte.

Perché sembra che in questo momento abbia occhi solo per me?

Grazie a Dio non sono ubriaca come quei due, altrimenti avrei rischiato di vomitargli in faccia.
Quando non sono lucida faccio fatica a controllare le mie emozioni.

«Ehilà» sussurro, rendendomene conto solo dopo alcuni istanti di quello che ho detto.

Ehilà... sul serio?

«Ciao» mi tiene corda, facendomi sentire un po' meno imbarazzante di quanto in realtà sia.

Un fuoco viva sta bruciando in me, ora.
Sento la fronte accaldata, per non parlare del collo e dei polsi, che mi martellano per colpa del sangue che pompa senza controllo.

«Non ti unisci?» gli domando, incrociando le braccia al petto, per sentirmi un po' più protetta dal suo sguardo potente.

«Mhm» scuote la testa in segno di negazione, «No, grazie» sposta per un secondo gli occhi su quei due.

Annuisco, mordendomi il labbro inferiore, «Non ti lasci mai andare, eh?» è l'alcool a parlare per me, ma è troppo tardi per tirarsi indietro.

O la va o la spacca.

Saetta lo sguardo sulle mie labbra, per poi ancorarlo al mio, facendomi rabbrividire.
Si appropria dei miei occhi, facendo di loro ciò che vuole, ammaliandoli e intrappolandoli nei suoi.

«Non posso farlo con una ragazza mezza nuda davanti a me» dichiara, senza un minimo di ritegno o imbarazzo.

È così diretto che a volte mi spaventa.

Faccio un sorriso, sentendo il coraggio farsi strada tra le mie vene, «Non sei costretto a trattenerti» mi piego in avanti, poggiando le mani sulle sue ginocchia, che sento subito irrigidirsi.

PATENTE E LIBRETTO, SIGNORINA.Where stories live. Discover now