8. Voce del verbo essere malinconici

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Un rantolo disperato esce dalle mie labbra, susseguito da un sospiro profondo.

Ho sete.

Scosto i capelli dal viso, mettendomi poi a sedere, con la schiena appoggiata alla tastiera del letto.
La stanza è illuminata soltato dalla leggera luce della luna che entra dalle tapparelle aperte per metà.
Tasto il comodino, ma tutto quello che trovo è una bottiglietta schiacciata, completamente vuota.
Faccio una smorfia di disappunto, alzandomi dal letto.
Berrò l'acqua dal rubinetto del bagno.

Di sotto non ci scendo, c'è Scott che dorme.

Camminando come uno zombie arrivo alla porta, notando uno spiraglio di luce soffocato dalle tenebre del corridoio.

«Nooo» borbotto, poggiando le nocche sulla superficie di legno.

Busso piano, per non fare rumore, «Che c'è?» la voce di Jaxon, ovattata da uno sbadiglio, mi procura un'ulteriore smorfia.

«Quanto ci metti ancora?» domando, incrociando le braccia al petto.

«Ho mal di pancia» sussurra.
Appoggio la fronte sulla porta, maledicendolo in tutte le lingue possibili ed immaginabili.

Ben gli sta. Non si mette la maionese sulla pizza.
Ma poi... lui dove ha dormito? Con Maia e Duncan?

Faccio dietro front, strisciando i piedi stanchi sul pavimento fresco.
Mi fermo proprio davanti alle scale, indecisa se morire disidratata, calarmi giù dalla finestra e chiedere a qualche vicino oppure sgattaiolare in cucina e bere.

Prendo un respiro profondo, dopodichè, in punta di piedi, faccio i gradini.
Quando arrivo in salotto studio la situazione, per assicurarmi che stia dormendo.
Poso gli occhi sul divano, trovandolo però vuoto. Come una pazza sposto lo sguardo per tutta la stanza, ma di lui nessuna traccia.

Deve essere in bagno.
Questa è la mia occasione.

Mi metto letteralmente a correre verso la cucina, aggrappandomi alla maniglia del frigo, che spalanco come se dovessi prenderlo a pugni.
Afferro al volo una bottiglia di acqua e mi volto, pronta a fuggire di nuovo.

Ma qualcosa questa volta non va.
Qualcuno me lo impedisce.

Non appena faccio un passo in avanti mi scontro con un corpo tonico, perdendo la presa su ciò che tenevo tra le mani.
L'impatto mi spinge indietro, facendomi sbattere la schiena contro il frigorifero.
Chiudo gli occhi, come se potessi attutire la caduta della bottiglia, ma sono obbligata a riaprirli quando non sento nulla.

Osservo Scott con il fiato corto e la gola più secca che mai.
Tra le mani ha proprio la mia bottiglia.

«Dove vai così di fretta?» domanda con voce roca, più profonda del solito.
Il luccichio dei suoi occhi, che riflettono la luce dell'orologio digitale alle mie spalle, mi fa rabbrividire.

Mando giù un groppo di saliva, sentendomi intrappolata, senza via di fuga.
Osservo il suo viso, leggermente gonfio a causa del sonno, con i capelli scompigliati e le labbra carnose strette fra di loro.

«Scusa, non volevo svegliarti» affermo, anche se so benissimo che non sono stata io.

Magari adesso mi lascia passare, così posso idratarmi e tornare a dormire.

«Ero fuori a fumare» dichiara, indietreggiando di alcuni passi, permettendomi di ritornare a respirare.

I suoi occhi però non si staccano da me, abbassandosi con una lentezza disarmante lungo tutta la mia figura.
Ogni fibra del mio corpo va in iperventilazione quando si sofferma più del dovuto sulle mie gambe nude, che improvvisamente diventano gelatina.
Cerco di non pensare al fatto di essere in pigiama davanti a lui, con tutti i capelli scompigliati e le occhiaie ben visibili.

PATENTE E LIBRETTO, SIGNORINA.Where stories live. Discover now