46. You are so bad, my strawberry boy

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Il viaggio in macchina è stato più breve del previsto. Probabilmente perché mentre Scott guidava io ho dormito come un agioletto contro il finestrino.

Stamattina ci siamo svegliati prestissimo ed è stato un vero trauma dover caricare il baule per ben sette volte. Non ne pensava proprio di chiudersi quel dannato, e Scott ha quasi minacciato di lasciare a casa una valigia.
Sono riuscita a convincerlo all'ultimo e soltanto con l'aggiunta di un bel bacio.

Mi risveglio poco prima di arrivare in agenzia.
È appena metà mattina, ma le vie principali della città sembrano già pullulare di persone.

Una donna di mezza età ci accoglie con un sorriso smagliante, «Siete i signori Andrews, giusto?».

Sgrano gli occhi, arrossendo di colpo.
È strano sentirlo dire. Mi fa sorridere di nascosto anche se è stupido pensarlo.

Scott mi rivolge un'occhiata divertita, poi schiocca la lingua sul palato, «Diciamo di sì».

Io fingo di non averci fatto caso, quindi mi allontano quando lui la segue per completare il check-in.
Mi guardo attorno, incuriosita. Questo posto sembra costoso. Ci sono computer e lavagne multimediali in ogni angolo.
Quanto diamine ha speso Scott per questa vacanza? Non ha proprio voluto dirmelo e per quanto abbia insistito di pagare almeno la mia parte, lui non ha voluto sentire ragioni.
Deve almeno permettermi di offrirgli una cena. Ci tengo.

Torna un paio di minuti più tardi, «Fatto, possiamo andare».

Se l'agenzia mi era sembrata una sorta di quartier generale, la villa in cui risiederemo è completamente l'opposto, pur essendo meravigliosa.
Assomiglia molto a quelle vecchie case estive che si trovano sulle riviste di arredamento.
È veramente stupenda: piccolina ma graziosa, con un bellissimo giardino sul davanti e uno spazio per il barbecue e il fuoco.

«Sembra un bel posto» ammetto, appena varcata la soglia.

La prima cosa che vedo è un enorme salotto con pareti interamente di legno bianco e uno spazio cucina, aperto sulla sinistra, con un grande tavolo e quattro sedie color marmo con inserto neri.
Mi stupisce il fatto che sia interamente su un piano. Può sembrare stupido, ma non ho mai visto case ad un solo livello.

Posa le valigie a terra, tirandosi la schiena, «Hai ragione, è proprio un bel quartiere».

«Il mare!» esclamo all'improvviso, «Mi ero quasi dimenticata che si affacciasse sul mare. Andiamo a vedere».

Lo afferro per mano, trascinandolo verso quella che sembra una porta finestra. Ne ho la conferma quando intravedo il legno del portico e il color panna della sabbia splendente.

Schiaccio il naso contro il vetro bollente, immaginando di sentire il rumore delle onde in lontananza. A pochi passi dall'ultimo scalino, oltre il cancelletto in legno, giace smisurata la spiaggia. Due lettini colorati, posti in fila orizzontale, illuminano l'orizzonte marino, privo di persone.

«Perché non c'è nessuno?» domando ad alta voce, distratta.

«È un pezzo di spiaggia privata» spiega Scott, «Per questi giorni sarà tutta nostra».

Per poco non saltello sul posto come una bambina. Ho guardato il mare migliaia di volte, ma non ci ho mai vissuto accanto.
È emozionante.

«Stai scherzando?» domando incredula.

Ridacchia, «No. Era compresa nel prezzo della casa. Inoltre, per il primo giorno ci hanno offerto l'ingresso nella piscina qui a fianco. Se ti va possiamo farci un salto oggi pomeriggio».

PATENTE E LIBRETTO, SIGNORINA.Where stories live. Discover now