Capitolo 10

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Si chiuse la porta alle spalle, sospirando rumorosamente. Non poteva resistere un minuto di più, doveva prendersi una pausa da quei due. Passò una mano tra i suoi ricci castani scendendo le scale e dirigendosi in cucina. Si verso dell'acqua.

«Non starai rubando i miei biscotti nascosti nella mensola in alto a destra, vero?» lo destò, facendolo sussultare, quella voce femminile e squillante, energica.

Joshua si voltò verso la ragazza, aveva una maglia a maniche corte che le arrivava alle coscie come una gonna, dei leggins neri e delle ciabatte con gli unicorni, di gusto discutibile. I capelli biondo scuro, raccolti in una coda alta disordinata e, quei pozzi verdi, lo scrutavano in un modo che Josh non riuscì a cogliere. «Ellen, che ci fai qui?», chiese ignorando il sarcasmo che, a quanto pare, caratterizzava la famiglia White.

«Potrei farti la stessa domanda», ribattè prontamente mentre si avvicinava ad una mensola.

«Touchè», sospirò pesantemente, «Non riuscivo più a sostenere la conversazione con quei due», ammise. «Stanno discutendo dell'appuntamento tra Dean e Wendy».

«Wendy non è la ragazza che ti piace?» si fermò con la mano, che si accingeva a prendere una busta di biscotti, a mezz’aria.

«Si, ma Wendy è interessata a Dean e viceversa. Il mio è sempre stato un amore non corrisposto», si sforzò di sorriderle. «Tranquilla, io e Dean abbiamo chiarito. Solo che mi ci vuole del tempo affinché non mi dia più fastidio», aggiunse notando il dispiacere in quegli occhi verde prato.

«Ti capisco, anche io ho un amore non corrisposto», ammise abbassando il capo, sembrava che il pianale della cucina in quel momento fosse molto più interessante. Se le sentiva puntate addosso, quelle iridi color cioccolato fondente.

«Mi dispiace» asserì comprensivo, «Spero che tu abbia più fortuna di me».

«Non sa neanche che esisto», confessò alzando finalmente lo sguardo.

«Dev'essere una vera talpa per non accorgersi di una bella ragazza come te», le sorrise sincero poggiando il bicchiere nel lavandino. «Torno da quegli idioti» finì, salutandola ed incamminadosi verso la stanza, lasciando una ragazza con un timido sorriso sulle labbra.

Il suo turno, dietro al bancone, era ormai iniziato da un’ora e di Bob Harden non vi era traccia. Doveva comunicarglielo al più presto in modo che avesse avuto tempo per sostituirlo e non recargli danno. Sospirò pesantemente mentre asciugava, con un panno, quel bicchierino da liquore. Anche se vi erano pochi clienti, era stata comunque una giornata pesante per il suo corpo ancora debilitato.

«Un bicchierino di Whisky», gli ordinò un uomo davanti a lui.

«Si, arriva su-», all’alzare il capo, prima concentrato sul bicchiere, lo sguardo si posò su quelle iridi azzurre, simili alle sue. Cosa ci faceva lì quell’uomo? Le palpebre si spalancarono, stupite, basite di ritrovarselo dinanzi.

«Ciao Victor», lo salutò l'uomo dai capelli biondi come l’oro. «Non ci si vede da un po'», provò ad ironizzare ma, dall’espressione stizzita del giovane, non era riuscito nell’intento.

«Vuoi del Whisky per poterti dare fuoco? Se vuoi ti aiuto», lo schernì, acido.

«Non scherzare», lo ammonì repentinamente.

«Chi ti ha detto che lavoro qui?» chiese mentre versava la bevanda nel bicchiere e la posava sul bancone dinanzi al “cliente”. In quel momento, avrebbe tanto preferito uno di quei ricconi altezzosi che servire quello stercorario di uomo.

«Un uccellino, e mi ha riferito anche che hai il cancro come tua madre», ammise iniziando a sorseggiare il liquore. Non doveva essere abituato a quella gradazione perché, a quel piccolo sorso, arricciò il naso e le labbra si incurvarono in una piccola smorfia. Forse aveva bisogno di alcol per sostenere quella conversazione con l’azzurrino.

E il tempo scivola viaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora