Capitolo 34 (Prima parte)

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Non era abituato a quel silenzio prolungato, i pensieri erano così forti da impededirgli di dormire. In quei quattro giorni di auto-reclusione in camera sua, non aveva fatto altro che girarsi nel letto e tentare inutilmente di chiudere occhio, riuscendo per sole poche ore a notte. Era come se fosse rimasto bloccato, i ricordi di quella lunga e pessima giornata da dimenticare erano ancora vividi davanti ai suoi occhi e nella sua mente. Quella sera, dopo aver salutato Phil, senza riuscire ad incrociare il suo sguardo per l'imbarazzo, era entrato in casa pregando e cercando modi fantasiosi di evitare i suoi genitori e Dean. Non poteva evitare domande con quell'ematoma sul viso e la scusa del pensile o delle scale non avrebbe retto. Perciò, cercò di aprire la porta d'ingresso il più silenziosamente possibile. Se i vicini si fossero affacciati, sicuramente lo avrebbero scambiato per un ladro. La chiuse con altrettanta cura per poi voltarsi e trovarsi di fronte a quella pettegola rumorosa di suo fratello con un pacchetto di patatine in mano.

Lo vide spalancare gli occhi, indicare il suo viso ed aprire la bocca. Non fece in tempo a tappargliela che esclamò: «Che cazzo ti è successo alla faccia?»

Sapeva che i signori Mcdaniel erano a casa. Sperava solo che la sua buona stella arrivasse in suo soccorso, ma quando sentì dei passi sempre più vicini e intravide la figura alta ed ingombrante di Dennis, suo padre, capì che la sua buona stella, con buone probabilità, si stava sbronzando in qualche locale a luci rosse. Fulminò suo fratello con lo sguardo mentre imprecava mentalmente.

«Per Giove, che ti è successo?!» esclamò il padre. Dean aveva preso quell'abitudine di parlare con parole ed espressioni desuete proprio dal padre. Ogni volta che il padre litigava con sua madre, per lui era impossibile non scoppiare a ridere. Quando litigava con Dean, gli sembrava di assistere ad una litigata tra vecchiette di paese. Peccato che dopo se la prendessero sempre con lui.

«Scale.» provò a dire, forse avrebbe funzionato.

«"Scale" un paio di zebedei!» sbottò, «Rubby, vieni a vedere tuo figlio!»

La situazione gli era leggermente sfuggita di mano. Rubye apparve subito dopo con la fronte aggrottata. «È figlio mio solo quando ti fa comodo!» spostò lo sguardo sul ragazzo e anche lei sgranò gli occhi. «Danny, che cosa cazzo ti è successo?»

Era ancora fermo all'ingresso e già voleva sotterrarsi, se avesse fatto dietrofront e fosse scappato via, lo avrebbero scambiato davvero per un ladro. La prigione non sembrava una cattiva opzione, dopotutto. «Non ho mai ricevuto un'accoglienza così calorosa», provò a sfoderare uno dei suoi sorrisi, ma gli uscì solo una smorfia di dolore. Era stanco, il livido gli faceva male e voleva solo chiudersi in camera senza dare spiegazioni a nessuno, ma sapeva che non avrebbe più potuto fuggire. Chiuse gli occhi, fece un respiro profondo e li invitò a sedersi sul divano.

Dean doveva aver intuito, perché annuì una sola volta mentre lui gli rivolgeva uno sguardo irritato. Era stato troppo rumoroso. Lo era sempre stato, ma per una volta avrebbe potuto fare un'eccezione.

Daniel si sedette sul tavolino da caffè in legno, dinanzi a loro. Poggiò i gomiti sulle ginocchia e cercò di farsi coraggio. Ora o mai più. «Ho lasciato il college.»

«Tu cosa?!» esclamò stupito il padre ma la moglie lo bloccò sul nascere alzando una mano.

Il cenno con il capo da parte di Rubye lo convinse a continuare. «Ho lasciato il college perché non era la strada giusta per me. Volevo dirvelo prima, ma sapevo già come avreste reagito, perciò ho cercato lavoro». Addocchiò Dean che dondolava nervoso sul posto, accanto alla donna seduta tra lui ed il padre.

«Hai trovato lavoro?» domandò quest'ultima.

«Cosa c'entra con il livido?» il padre aggrottò la fronte, sempre più confuso ed irritato.

E il tempo scivola viaDonde viven las historias. Descúbrelo ahora